Appena seppi, solamente, che esistevo
e che avrei potuto essere, continuare,
ebbi paura di ciò, della vita,
desiderai che non mi vedessero,
che non si conoscesse la mia esistenza.
Divenni magro, pallido, assente,
non volli parlare perché non potessero
riconoscere la mia voce, non volli vedere
perché non mi vedessero,
camminando, mi strinsi contro il muro
come un’ombra che scivoli via.
Mi sarei vestito
di tegole rosse, di fumo,
per restare lì, ma invisibile,
essere presente in tutto, ma lungi,
conservare la mia identità oscura,
legata al ritmo della primavera.
[Pablo Neruda]
Poesia tratta da “Memorial de l’Isla Negra”, in cui il poeta, nonché attivista, cileno descrive uno dei periodi più difficili della vita: l’adolescenza.
Con lucido e tenero disagio, viene allontanata la propria età.
Restar chiusi in sé con una porta sul presente che vuol restar sempre chiusa. L’ordine è: osservare, ma non agire.
I versi, egregiamente trattati per chiarezza e assennato fascino, descrivono il rifiuto della propria immagine; ripercorrono la lotta in maschera contro le parole e i giudizi dell’esterno, che possono far male, come lame sulla pelle; sottolineano un’avversione, pregna di paura, verso un futuro, di cui si ignorano le coordinate di partenza e d’arrivo.
Il mimetismo esasperato delle proprie emozioni è un istinto primordiale di autodifesa. Il “non vivere” in questa fase non solo può essere più vantaggioso che “vivere”, ma a volte può essere l’unico modo per sopravvivere.