A vederli ancora sul palco suonare con una energia e una grinta pari a quella dei tempi d’oro si potrebbe pensare che in realtà siano i loro “Avatar” e invece sono proprio loro: i “Rolling Stones”. Giustamente qualcuno li ha definiti non la “storia” del rock, semplicemente “il Rock”. Quello vero, quello che ti prende nelle viscere dandoti una carica vitale incredibile, motore delle istanze e anche delle illusioni di generazioni e generazioni. In questi giorni è in uscita l’ennesima raccolta dell’immenso lavoro discografico di Jagger e soci. Un cofanetto che ripercorre la lunghissima carriera artistica di una delle band (la Band per eccellenza) più amate di sempre. Il contraltare “ribelle” e senza regole dei Beatles, definiti sin dalle origini “brutti, sporchi e cattivi”, composto da Mick Jagger, Keith Richards, Ronnie Wood e Charlie Watts ha fatto la storia della musica rock con le sue preziose venature blues e “jazz skiffle” (da giovanissimi gli Stones suonavano solo il repertorio di Chuck Berry e si chiamavano “The Little Blue Boy And The Blue Boys”). Il legame con il “rhythm and blues” è evidenziato anche successivamente quando sarà scelto il nome definitivo della band: ‘Rolling Stones’ infatti è il titolo di un celebre brano di Muddy Waters. L’esordio ufficiale delle “pietre rotolanti” avviene nel 1962 ed è subito un successo travolgente. Ma la consacrazione arriva con il brano “(I can’t get no) Satisfaction”: un vero e proprio inno per le giovani generazioni (e anche per quelle future). Agli albori delle contestazioni giovanili (il ’68 era alle porte), gli Stones incarnano lo spirito che pervade i giovani di tutto il mondo che invocano pace, amore, giustizia, rivendicando una nuova società. Tante speranze ben presto disattese con la guerra del Vietnam e con una società sempre più capitalista e consumista. Musicalmente i Rolling Stones si caratterizzano subito per un sound molto particolare basato sulla cosiddetta “guitar weaving”, ossia l’intreccio contemporaneo di chitarra ritmica e solista (tale tecnica era detta Chicago style, dai grandi bluesman anni ’50 originari di quella città). Da “Out of Our Heads”, passando per “Between the Buttons”, “Beggars banquet”, “Let it Bleed”, “Sticky Fingers”, “Black and Blue”, fino a “Emotional Rescue”, “Undercover”, “Steel weels” e “A Bigger Bang”, sono solo alcuni degli album prodotti dagli Stones nella loro incredibile e longeva carriera. Se si escludono gli ultimo decenni che evidentemente hanno visto il gruppo abbandonarsi alle categoriche logiche delle case discografiche, pur mantenendo comunque intatte molte caratteristiche, gli Stones vantano oltre 50 anni di attività, tutti incarnati in Mick Jagger l’indiscusso simbolo e punto di riferimento, insieme alla nota “linguaccia”, divenuta icona modiale (oggi fin troppo commerciale) dei teenager. Hanno attraversato la storia della musica e dell’umanità come nessun altra formazione musicale, non senza problemi e periodi negativi (la morte di Brian Jones e la crisi di ispirazione di metà anni ’70 sono le punte più negative), conservando sempre intatta la loro forza. Eccessi, vizi, mondanità sfrenata, certo, ma rock ineguagliabile. Folle oceaniche ai concerti, veri eventi collettivi. Sarà forse per quella nota “Sympathy for teh Devil” che si spiega la loro longevità? Spesso gli Stones ci scherzano su ma non è certo un patto col diavolo il loro segreto: è semplicemente il rock che è vita, energia inesauribile.