Giuseppina, La signora che parlava italiano, è un racconto breve di Thomas Scalera.Thomas Scalera, come molti di voi sapranno, è il nostro editore, qui su Planet Magazine.
Ma, per tutti noi suoi collaboratori, da quelli occasionali come me, a quelli della redazione, Thomas Scalera è anche molto di più: un confronto costante, un sorriso, una parole delicata, tante confidenze, una guida, due coccole.
Nel mio caso in particolare, è una delle persone che sento a me più affini e vicine.
Lo conosco oramai da oltre tre anni, ci siamo parlati lunghissime ore, abbiamo condiviso momenti belli e momenti difficilissimi.
Reciprocamente.
Con la voce, con un click, con un grande affetto.
Perché fare tutta questa lunghissima e, forse anche un po’ stucchevole premessa, se il mio unico scopo, in questo frangente, non è certo massaggiare l’Ego del mio Th, ma parlare di una sua opera d’ingegno?
Perché voglio che sia chiaro: io adoro Thomas, ma questo non mi esenterà dall’essere obiettiva nel criticare una sua piccola e preziosa opera letteraria, sia pure all’interno di una testata web da lui ideata, creata, custodita e finanziata.
Io sono una critica, come sapete. E come se ciò non bastasse sono anche un legale. E una donna.
Insomma sono l’essere ipoteticamente più a rischio di gratuita cattiveria che si possa prefigurare.
Certo nella mia oramai lunga carriera di scribacchina web e non, ho eletto una teoria: salvo casi eccezionali e volontariamente punitivi, se si deve parlare male di un evento, di una persona, di una situazione, di un’impresa, è meglio tacere pubblicamente.
Chi è così ardimentoso da chiedermi privatamente la mia opzione, per quel che valga ed interessi, l’avrà sempre, e sarà, se necessario, perfino cinica. Ma se non parlo mediamente è perché o non conosco o non ritengo di poter parlare perché la mia opinione è decisamente contrastiva.
Uno dei miei maestri web, Rudy Bandiera, in tutta la sua mission su internet ed in particolare nella sua ultima opera (le 42 leggi del digital Carisma) postula da sempre questo.
Sia nella sua vita reale, sia durante i suoi corsi, sia chiaramente nella sua lunga tortuosa e iperprofittevole vita web: tutto quello che di inutilmente acrimonioso divulghiamo on line si ritorcerà prima o poi contro di noi.
Io me ne sono fatta persuasa, anche da prima e nella vita reale.
Per questo se non ho scadenze, obblighi o necessità per “etica professionale”, raramente nei miei fiumi di parole troverete critiche sferzanti.
Ma non perché diversamente da tutti a me non piaccia farne: mi piace tantissimo.
Il critico, del resto, è uno che sa fare poco e ama distruggere chi ha avuto il coraggio di fare, sostanzialmente per punire la propria codardia.
Io non voglio parlare male delle cose.
Ugualmente, però, parlando solo di quello che realmente mi piace e mi interessa, anche se mostro spesso un’entusiasmo febbrile, non vuol dire che sia innamorata delle mie idee (o almeno non necessariamente), vuol dire che sono proprio convinta di quello che dico.
Oggi, dopo circa dieci minuti verrete a scoprire, cari amici di Planet Magazine, che quello che voglio affermare è che “Giuseppina, la signora che parlava italiano” di Thomas Scalera, scaricabile gratuitamente a questo link (sull’interessante piattaforma di free literature sharing “20 lines”) è un piccolo denso gioiello.
Ad una storia che potrebbe da sola valere tre romanzi di medie dimensioni, si unisce una perfetta e coinvolgente padronanza della lingua italiana che Thomas Scalera regala ai suoi lettori con levità.
Uno stile colto, puntuale, attento, (emergente dalla scelta precisa dei vocaboli, l’uso profittevole della punteggiatura, perfino da una certa eleganza nel succedersi del ritmo delle frasi), si bilancia infatti con un atteggiamento dello scrittore Scalera discorsivo, colloquiale, quasi amichevole.
Quasi, si potrebbe dire, familiare.
Perché di questo, del resto poi, tratta La signora che parlava italiano: di una incredibile storia familiare, appena tratteggiata, nelle parole e nel racconto.
Nel delineare di una donna “larger than life”, come dicono gli americani, Giuseppina, appunto, che pur collocata temporalmente dal racconto in uno spazio socio-culturale-storico ben definito e determinato, è in realtà una sorta di archetipo dell’eroina materna di stampo classico: bella, sofisticata, semplice, dedita, ma pugnace, pugnace sino alla morte ed oltre la morte, per difendere quello che di più caro ha per se stessa.
Non se stessa, ma suo figlio nascituro, poi nato, poi addirittura riprodottosi, anche quando lei, Giuseppina , ci si fa intuire non esista più da anni.
E poi lì a tratteggiare con lievità altri topoi letterari che non sono esercizio di maniera, ma cuore della storia (i porci che non sono maiali e i maiali che non sono porci), le invidie omicide, la serva fedele che è sorella e riporta alla vita. E tante altre cose che un critico non può certo scrivere e che un lettore deve solo vivere.
Io credo che un racconto così, che l’app sulla quale è scaricabile, ripeto, gratuitamente, consiglia di leggere in cinque minuti, regali invece ore di riflessioni, ore di rimandi, ore di riletture.
Ore di ideali conversazioni con Giuseppina, la signora che parlava italiano e che seppure fosse mai esistita io non avrei mai potuto conoscere.
Ti ringrazio ancora una volta Th, per avermela invece regalata.
Ora è con me, insieme a Madame Bovary, ad Atreyu, al Matto, Harry Potter, alle perle di David Foster Wallace e a tutti gli altri personaggi che ho scelto nel tempo abitassero la mia mente contorta.