E’ morto Omar Sharif il più famoso attore egiziano nella storia, aveva 83 anni, è morto in seguito a un attacco di cuore oggi in un ospedale del Cairo. Sharif era famoso soprattutto per il suo ruolo nel film Lawrence d’Arabia di David Lean, uscito nel 1962. Anni dopo recitò anche nel Dottor Zivago. Di recente, aveva recitato come protagonista nel film egiziano The Traveller. Alcuni mesi fa il suo agente aveva confermato che Sharif soffriva del morbo di Alzheimer. L’attore originario di Alessandria (ma giramondo per vocazione) incarna quella che nell’immaginario collettivo è la vita di un uomo ricco, bello, famoso, adorato dalle masse e conteso dalle donne più affascinanti del pianeta. Un mito alimentato dall’indolente Sharif, che negli anni ’60, all’apice della carriera dichiarava ai giornalisti «Lavoro perché mi piace il lusso e quando finisco i soldi, sono costretto a tornare a recitare». Seppure per necessità, ha lavorato con i più grandi registi – Fred Zinneman (…e venne il giorno della vendetta), Anthony Mann (La caduta dell’impero romano), William Wyler (Funny Girl), Sidney Lumet (La virtù sdraiata) – ed è stato l’incarnazione della bellezza esotica, della fierezza, del coraggio e del romanticismo nei due film che gli hanno regalato la consacrazione, entrambi di David Lean: Lawrence d’Arabia (un Golden Globe e una nomination all’Oscar) e Il Dottor Zivago (nomination al Golden Globe). Al cinema era arrivato grazie alla madre, che lo mandò in un college inglese, dove Omar dimagrì («da ragazzo ero veramente grasso») e imparò la lingua, e a Youssef Chahine, che lo fece debuttare nel ’53. Divo del cinema egiziano fin da subito, è poi diventato una star internazionale, con una propensione ai ruoli storici (è stato Che Guevara in Che!, Genghis Khan nell’omonimo film, l’arciduca Rodolfo in Mayerling, il principe Feodor in Pietro il Grande), romantici (Il seme del tamarindo, C’era una volta, Funny Girl) e d’avventura (L’ultima valle, Ghiaccio verde, Le meravigliose avventure di Marco Polo, Ashanti). Nel 2003, Omar Sharif è tornato sulle scene, dopo un periodo di silenzio (aveva interpretato Il tredicesimo guerriero, decidendo di «non recitare più in simili sciocchezze»), con un ruolo importante, quello del negoziante arabo che fa amicizia con un bambino ebreo in Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano. Una scelta forte, con cui lanciare un messaggio di pace tra ebrei e arabi in un momento storico-politico nerissimo, gratificata con un doppio riconoscimento al festival di Venezia: il premio del pubblico e il Leone d’oro alla carriera. Negli ultimi 20 anni della sua esistenza, si era spesso lasciato andare a considerazioni amare dicendo: «La mia fama di rubacuori è usurpata.
Le donne erano più interessate ai miei personaggi che a me». Malinconie legate, forse, ad altri eventi della vita, i dissesti economici, dell’irresistibile attrazione per il tavolo verde, le violente polemiche legate alla fede religiosa, divenuta cristiana e per questo molto criticata viste le origini arabe: «Mi sto mettendo in una posizione molto pericolosa aveva dichiarato durante le riprese del film tv in cui interpretava San Pietro . Quelli mi uccidono. Nel film parlo per tre volte di Gesù come un musulmano non farebbe mai. Tutto questo mi procurerà dei guai».