Direttamente da Cannes è arrivato al Biografilm festival di Bologna il regista Matteo Garrone che, dopo i celebri successi Gomorra e Reality, è al cinema dal 14 Maggio con Il Racconto dei Racconti, un prodotto italiano per il grande schermo innovativo ed originale, che rompe gli schemi. C’era una volta un regno, anzi tre regni vicini e senza tempo, dove vivevano, nei loro castelli, re e regine, principi e principesse. Un re libertino e dissoluto. Una principessa data in sposa ad un orribile orco. Una regina ossessionata dal desiderio di un figlio. Accanto a loro maghi, streghe e terribili mostri, saltimbanchi, cortigiani e vecchie lavandaie sono gli eroi di questa libera interpretazione di tre delle celebri fiabe tratte da Il Racconto dei Racconti di Giambattista Basile, ambientati nel 1600. Il festival bolognese lo ha accolto con grande calore, dedicandogli un omaggio artistico e professionale che prevede la proiezione di questo ultimo film fiabesco e coinvolgente, ma anche di una serie di suoi primi film di natura più documentaristica, come Ospiti, Estate Romana e Oreste Pipolo Fotografo di Matrimoni. Ecco cosa ci ha raccontato il regista, parlando del suo lavoro, dei suoi obiettivi per il futuro e di cinema.
Qual è ad oggi il tuo bilancio professionale?
Credo ci sia un po’ un filo conduttore che lega tutti i miei film, anche se i primi erano film di formazione, con una componente più documentaristica, però penso che sia un percorso che fino all’ultimo film hanno un filo conduttore che li lega tutto. Io vengo dalla pittura, quindi per me ogni film è come se facessi un quadro, quindi mi auguro che alla fine della mia carriera metterò tutti questi quadri uno accanto all’altro e sarà più facile capire qual è stata l’importanza e il valore dell’opera che lascio. Adesso è troppo presto per capirlo e sono troppo coinvolto. cerco solo di mantenere alto il livello dei lavori che faccio e cerco di fare dei film che ogni volta mi fanno esplorare nuovi territori cercando di mantenere uno mio sguardo e una mia identità.
I tuoi primi film sono documentari? Cosa cambia per te nell’approccio con un film di finzione e con un documentario?
L’approccio è simile ai film di fiction, ho girato questi documentari come se fossero film di fiction e film di fiction come fossero documentari. Parto sempre da una realtà, cerco di documentarmi ed esplorarla e poi cerco delle chiavi per interpretarla. Questo è sempre stato il mio metodo di lavoro. Cerco di trasfigurare poi quella realtà in un’altra dimensione, quella dell’arte. Sempre lo stesso metodo. Poi le cose sono cambiate un po’ con L’Imbalsamatore che aveva già una sceneggiatura più strutturata, iniziava ad essere un po’ diverso dai precedenti. Tratto da un fatto di cronaca. Poi Gomorra da un libro, e Reality da una storia vero. Anche Primo Amore veniva da un fatto di cronaca di un uomo con un’attrazione per le donne molto magre (non un film sull’anoressia ma sulle dipendenze sentimentali).
Questo ultimo film è un racconto favolistico?
Per Il Racconto dei Racconti ho cercato invece di portare la favola ad un livello più realistico e di credibilità. Ho sempre amato raccontare storie di personaggi che in qualche modo potessero parlare di sentimenti riconducibili e universali. Questo film pur ambientato nel 1600 ma parla di oggi, di sentimenti portati all’estremo.
Perché hai scelto Basile?
La prima volta ho letto Basile da un consiglio di Gianluigi Toccafondo che mi aveva parlato del suo libro. Poi l’ho letto ed è stato subito un colpo di fulmine. Molte cose le sento familiari e penso ci siano film miei del passato che potevano benissimo essere un racconto di Basile, tipo L’Imbalsamatore. Mi ha affascinato il rapporto con il grottesco, il comico e il tragico mescolati, l’alto e il basso come la cultura alta e la cultura popolare. Tutto è trattato poi con grande ironia ed umanità. E’ un autore che ho sempre sentito vicino e ho pensato potesse essere importante per me e per Basile stesso, perché se il film viene visto crea curiosità per il testo che conosciamo poco, ma è un capolavoro.
Sei tornato da poco da Cannes? Come hai vissuto la delusione di non aver vinto niente?
Certo, un premio avrebbe dato più visibilità al film ma alla fine quando accetti di partecipare ad un festival accetti anche che le cose possano andare bene o male. Devi avere la fortuna che i giurati siano in sintonia con il tuo lavoro, io sono stato in giuria a Venezia e so cosa vuol dire. Dipende dal momento in cui vedi il film, dallo stato d’animo, tante cose che influiscono. I film poi hanno un percorso lungo, ci sono film che hanno lasciato un segno anche senza ricevere premi e viceversa. L’ho vissuta in maniera molto serena.
Come hai scelto i luoghi del film Il Racconto dei Racconti?
L’ambiente è un personaggio che ti aiuta a capire i protagonisti della storia che racconto. Il location manager per otto mesi si è girato tutta Italia che è ricca di posti meravigliosi, ma, soprattutto al Sud per i soldi della manutenzione dei castelli cominciano a fare ristoranti, alberghi e gli interni dei castelli sono distrutti. C’era l’idea di trovare luoghi reali, ma che sembrassero allo stesso tempo costruiti in studio. Un lavoro molto lungo e complesso, in cui la Regione Puglia ci ha aiutato come Film Commission.
Hai trovato alcune difficoltà di finanziamento? Cosa è successo esattamente?
Gran parte dei soldi li ho trovati in Italia, Rai Cinema ha avuto un ruolo fondamentale, come il Ministero dei Beni Culturali, EuroImage…all’inizio firmi una serie di contratti. Poi, per esempio, Rai Cinema accetta di fare il tuo film e fai un contratto, ma non ti danno subito quella cifra, te la danno a tre anni, e questo vale anche per il Ministero e gli altri finanziatori. Quindi quando raggiungi 10 milioni compresi finanziatori esterni, devi andare da una banca che ti dà contanti per fare il film e come garanzia hai questi contratti firmati. Nessuna banca in Italia mi ha scontato quei contratti perché dicevano che la mia casa di produzione era troppo piccola rispetto alle dimensioni del film e non sapevano come sarei stato io nel restituire i soldi, non avevano precedenti ma io pensavo fosse un vantaggio e invece no, avevo un racing molto alto perché non avevo mai chiesto prestiti. Poi in Francia una società finanziaria dopo diverse riunioni ha accettato di darmi i soldi con la loro percentuale, io volevo darli in Italia ma è andata così. Avevo fatto un miracolo per montare un film così complesso e avevo rischiato di dare tutto ad un produttore con una struttura più solida. Rai Cinema è stata la prima ad entrare in maniera importante e mi ha consentito di trovare finanziamenti anche all’estero.
Il genere fantasy era un sogno nel cassetto o ci hai pensato solo dopo aver letto i testi di Basile?
Più che fantasy lo considererei fiabesco. Tuttavia mi piaceva l’idea di esplorare un nuovo genere, come ho fatto con i miei film precedenti. Da una parte quindi la fascinazione per i racconti di Basile, dall’altra quella di misurarmi con un genere che non avevo mai affrontato. E poi questa mia vocazione di mettermi nei guai…
Cosa pensi degli incassi?
Mi sarei aspettato di più. Cifre alla Sorrentino non mi sarebbero dispiaciuto ma la partita è appena iniziata, c’è tutto il mondo davanti…bisogna vedere poi nel giro di un anno e mezzo per capire meglio. Lo abbiamo venduto in tutto il mondo…oltre 40 paesi, ma c’è ancora la parte asiatica e Toronto. E’ un film che si misura con la cinematografia europea e bisogna vedere come sarà accolto da Francia, Inghilterra. L’America per esempio lo ha comprato per una cifra molto alta, quindi sicuramente cercheranno di valorizzarlo. Poi tirerò un po’ le somme, anche il periodo in cui è uscito era un periodo caldo, e alla fine ho incassato quanto Mad Max: Fury Road.