Era il 1978, una partita di seconda categoria in un campo sperduto in Molise. Io ero con mia madre a vedere la partita del Vairano di cui mio padre era capitano.
Un campaccio brullo, senza un filo d’erba, arroccato su un altopiano a strapiombo sulla strada.
Al 65mo, dopo una chiusura di un “terzinaccio” di altri tempi, l’ultimo pallone a disposizione finisce perso giù nella scarpata.
I 2 capitani e l’arbitro si guardano intorno e non sanno cosa fare, finché non vedono me, in lontananza, col mio preziosissimo pallone di cuoio, quasi più grande di me.
Si avvicinano, provano a togliermelo, pregandomi e scongiurandomi per poter finire la partita, io piango come un disperato, non se ne parla.
Alla fine, con la forza, mi tolgono il pallone e finiscono la partita.
Il Vairano vince 2-1, io smisi di piangere e il pallone tornò tra le mie braccia e, da allora, nessuno è riuscito più a togliermelo.
Grazie a Gianfranco, che mi ha raccontato questa storia decine di volte, sono sicuro che ora sta ridendo, da qualche parte, con papà.