“Globalizzazione”. Un termine che non è affatto moderno. Tutto iniziò, meglio “cambiò”, il 12 ottobre 1492. Il grande navigatore ligure Cristoforo Colombo scoprì il “Nuovo Mondo” (anche se lui fu sempre convinto di aver trovato un passaggio ad Ovest per le Indie) e il Mondo non fu mai più lo stesso. Molti fenomeni che caratterizzano le cronache odierne hanno in verità origine a seguito di quella che fu una grandissima scoperta ma soprattutto una grande “conquista” dell’umanità. Nuove frontiere, nuovi spazi, nuovi “mercati” e dunque una nuova “economia mondiale” con nuove regole e protagonisti, nuove antichissime e floride culture, ma anche nuovi problemi e tragedie. La “tratta dei neri” così drammaticamente uguale alla “tratta” odierna degli immigrati: i negrieri come gli scafisti di oggi, popolazioni martoriate dalla guerra come gli schiavi africani dell’epoca sradicati con violenza dalle loro terre per essere condotti a “lavorare” nel nuovo continente americano; la distruzione totale della gran parte delle popolazioni autoctone delle Americhe per mano dei “conquistadores” spagnoli e portoghesi, così come di virus e batteri ad essi sconosciuti. Popolazioni “vergini”, incontaminate, popolazioni “bambine” e come i bambini “ingenue”, incapaci di attendersi il male e difendersi dai nuovi arrivati; una nuova “economia mondiale”, con nuove rotte commerciali, nuovi imperi, nuovi codici, nuovi prodotti in gran parte sconosciuti più agli europei che agli asiatici, comunque veri “leoni” sui mercati grazie alle loro richiestissime “spezie”. Nel brano seguente si offrono una serie di spunti interessanti per riflettere e analizzare una scoperta che rivoluzionò per sempre l’umanità che per la prima volta nella sua storia fu “connessa” (prima di Internet) interamente: i continenti e i loro popoli non erano più entità autonome e distanti ma avevano ormai la necessità di essere in contatto fra di loro. Il processo di “contaminazione” sociale, economica, religiosa e politica scatenato dalla scoperta dell’America, con un ritmo sempre più incalzante, prosegue ancora oggi. Cristoforo Colombo è dunque il padre (inconsapevole) della “Globalizzazione”.
<< La distruzione delle Indie – L’ammontare della popolazione dell’America precolombiana è oggetto di controversie. Le stime oscillano fra i 20 e i 50 milioni in totale. Le regioni più densamente popolate erano quelle degli imperi azteco e inca, l’area della civiltà maya, sebbene ricerche recenti indichino che anche l’America Settentrionale e l’Amazzonia erano molto più abitate di quanto si pensasse in precedenza (…). Quello che invece sappiamo con certezza è che nel secolo e mezzo successivo alla scoperta, la popolazione americana subì un declino rovinoso. Nel 1650 l’intero Continente contava circa 13 milioni di abitanti e, di questi, un quinto circa erano discendenti degli immigrati da altri continenti. Solo all’inizio dell’Ottocento gli abitanti del Nuovo Mondo recuperarono il livello demografico di tre secoli prima. A questa data però si trattava di una popolazione molto diversa, per origine e composizione: gli americani di origine europea o quelli, di origine africana, deportati in America come schiavi costituivano infatti più della metà del totale (…). Una parte della colpa è da attribuirsi alle malattie infettive introdotte dagli spagnoli e dagli africani (…). Il vaiolo fu certamente il killer più micidiale, ma non fu il solo. Sulle navi che giungevano nel Nuovo Mondo purtroppo viaggiavano clandestinamente altre malattie: il tifo, il morbillo, la varicella, diversi tipi di influenza. E quando la tratta degli schiavi africani si intensificò, con essi arrivarono altre malattie, come la febbre gialla e la malaria. Le epidemie facilitarono la conquista spagnola. Lo riconosce apertamente, e con un certo cinismo, anche uno dei compagni d’arme di Hernan Cortes: “In quella occasione venne una pestilenza di morbillo e di vaiolo tanto dura e crudele che credo morì la quarta parte degli indios e che ci aiutò molto nel far la guerra e du causa che terminasse così presto perché di questa pestilenza morì una gran quantità di gente e di uomini d’arme, e molti signori, e capitani e guerrieri valenti (…) e miracolosamente il Nostro Signore li uccise e ce li tolse di torno”. Tra le vittime vi fu anche l’imperatore Cuitlahuac, successore di Moctezuma. La conquista spagnola dell’America fu quindi anche una guerra batteriologica involontaria (…). L’arrivo degli spagnoli – e successivamente di altri colonizzatori europei – comportò una quasi completa distruzione dei sistemi sociali, politici ed economici indigeni. In molti casi le stesse strutture famigliari si dissolsero a causa dello sfruttamento cui vennero sottoposti gli indios (…). Inoltre, all’oppressione politica e allo sfruttamento economico si aggiunse quella che è stata chiamata la “conquista spirituale”, ovvero la distruzione della cultura tradizionale degli indios americani, sia nei suoi aspetti materiali, come i luoghi di culto e le espressioni artistiche, legati a una religione che spagnoli consideravano demoniaca, sia immateriali come i riti, i miti e il linguaggio stesso. Gli indios dovettero assistere alla distruzione di tutto ciò che aveva dato un senso alle loro esistenze, all’annientamento non solo della società ma anche della loro visione del mondo (…). Lo ‘scambio colombiano’ – La diffusione di malattie, soprattutto dal Vecchio al Nuovo Mondo, fortunatamente non è stato aspetto di quello che lo storico Alfred W. Crosby ha definito ‘lo scambio colombiano’. L’incontro – e lo scontro – fra i due mondi non ha riguardato solo i popoli e civiltà, ma anche i rispettivi ecosistemi.Il 1492 non segnò una svolta decisiva solo perla storia dell’uomo, ma anche per la storia naturale. Ha detto lo scrittore statunitense Charles C. Mann che “per gli ecologi questo [l’incontro fra i due mondi – ndr] fu probabilmente l’evento più importante dopo l’estinzione dei dinosauri”. Basterebbe questo per riscattare il significato storico del 1492 (…). L’elenco delle specie vegetali e animali di origine europea o asiatica che vennero introdotte nel Nuovo Mondo e vi proliferarono , cambiandone radicalmente il paesaggio e l’ecologia, è lunghissimo. In certi casi si trattò di un’introduzione consapevole con finalità economiche. E’ il caso questo di animali domestici come il cavallo, il maiale, le pecore, le capre e i bovini (…). Un discorso analogo può essere fatto per le piante. Il paesaggio naturale e agrario americano sarebbe impensabile senza il frumento, il riso, il cotone, la canna da zucchero, che hanno dominato l’economia dei Caraibi e di parte del Brasile, il caffè. E non dimentichiamo i vigneti e gli aranceti della California. Talvolta, fra piante e animali di origine europea introdotti in America, si creavano sinergie che ne favorivano il successo. Fu ciò che avvenne con l’introduzione dell’ape millifera europea che impollinava di preferenza piante del Vecchio Mondo favorendone la diffusione. Alcuni degli esempi citati dimostrano tuttavia come lo ‘scambio colombiano’ sia stato un processo complesso e multilaterale. Alcune delle piante e anche qualche animale, che conobbe un grande successo nelle Americhe, non aveva un’origine europea – cotone, canna da zucchero, più tardi gli agrumi – ma asiatica o africana. In simili casi l’Europa fece da tramite, nel senso che queste piante, già coltivate in genere su piccola scala dato che non erano adatte al clima prevalente in Europa, si acclimatarono nell’America tropicale con grande successo. Non sempre, inoltre, la trasmigrazione di specie passò attraverso l’Europa. Le navi che dell’Africa trasportavano gli schiavi, avevano nelle stive miglio, sorgo, angurie e riso africano. Anche il caffè arrivò direttamente dalle zone d’origine – la penisola arabica o forse l’Africa Orientale – trovando in molte regioni americane un terreno d’elezione. E non fu neppure un processo unidirezionale. Se è indubbio che, anche dal punto di vista ecologico, le Americhe sono state trasformate dalla mondializzazione del Cinquecento più profondamente del Vecchio Mondo, neppure questo è rimasto immutato. In Europa le conseguenze più rilevanti sono quelle derivate dall’introduzione della patata e del mais, alimenti di base delle civiltà mesoamericane e andine(…). I prodotti delle piantagioni erano destinati ad essere esportati oltreoceano, per lo più in Europa (…). La crescita esponenziale del numero di schiavi deportati in America è strettamente correlata alla diffusione del sistema di piantagione. Nella seconda metà del Cinquecento circa 250.000 africani compiono la ‘traversata’. Nei cinquan’anni seguenti saranno mezzo milione. Tra il 1650 e il 1700 il numero sale a 75.000 e, duramnte il Settecento, gli africani deportati nelle Americhe, soprattutto Brasile e Caraibi francesi, inglesi, olandesi e spagnoli, saranno oltre 2 milioni (…). Nelle Americhe, alla conquista politica si è affiancata immediatamente una ‘conquista spirituale’ il cui aspetto più importante è stata la cristianizzazione (…). La distruzione di luoghi e oggetti di culto e di testi sacri e la proibizione della celebrazione di riti pagani, si accompagnava a uno sforzo complessivo di ristrutturazione dell’intera società indigena, a partire dalle sue istituzioni di base, come il matrimonio. Ha scritto lo storico francese Serge Gruzinski: “I frati compresero che per estirpare le credenze e sottomettere gli animi era necessario addomesticare i corpi e controllare le abitudini di vita. Il matrimonio si conformerà al modello cristiano, le regole matrimoniali riprodurranno gli interdetti della chiesa, la monogamia prenderà il posto delle unioni poligame praticate dalla nobiltà india” (…). Libri, statue e dipinti possono essere distrutti, ma spesso i nuovi luoghi di culto, le chiese cristiane, sono costruite sui luoghi dei templi indigeni. Il culto di dei pagani sostituito da quello dei santi cristiani con caratterizzazioni simili. Nulla di sorprendente. Era accaduto lo stesso durante la cristianizzazione d’Europa mille anni prima >>.
Nota – Approfondimento
Bartolomè de las Casas (1484 -1566) prese parte al quarto viaggio di Colombo e si stabilì nelle Indie occidentali nel 1502, come encomedero, ovvero come colono al quale erano affidati un certo numero di indigeni, in linea di principio per prendersi cura della loro evangelizzazione, in pratica per sfruttarli come forza lavoro. Una crisi spirituale portò però Bartolomé a prendere i voti nel 1507 e ad entrare in seguito nell’ordine dei domenicani, diventando poi vescovo della diocesi di Chiapas. Da questo momento sarebbe stato uno dei più grandi ed efficaci difensori degli indios. Nel 1550 La Casas si scontrò a Valladolid in un acceso dibattito pubblico in presenza dell’Imperatore Carlo V con l’umanista Juan Gines de Sepulveda il quale sosteneva che gli indios erano “intrinsecamente inferiori agli europei così come le donne e i bambini erano inferiori agli uomini e agli adulti”. Di seguito ecco un estratto della sua opera più famosa “Brevissima relazione della distruzione delle Indie” dove descrive perfettamente l’annientamento delle popolazioni indigene da parte dei conquistadores:
“Tra questi agnelli mansueti, dotati dal loro Creatore e Fattore di tutte le qualità di cui sono andato parlando, entrarono gli spagnoli, non appena ebbero notizia della loro esistenza, come lupi, come tigri e leoni crudelissimi che fossero stati tenuti affamati per diversi giorni. Altro non han fatto da quarant’anni a questa parte che straziarli, ammazzarli, tribolarli, affliggerli, tormentarli, e distruggerli con crudeltà straordinarie, inusitate e sempre nuove, di cui non si è mai saputo, né udito né letto prima. Alcune di queste atrocità riferirò più avanti; per ora basti dire che sono state tali che dei tre milioni di anime dell’isola Spagnola, che noi abbiamo veduto, non ne restano più di duecento. E l’isola di Cuba, estesa quasi quanto il tratto che separa Valladolid da Roma, è oggi praticamente spopolata. Quanto a San Juan e alla Giamaica, grandi e un tempo felici assai, incantevoli, sono tutte e due devastate. Le isole Lucaie, situate poco tratto a nord della Spagnola e di Cuba, insieme a quelle che chiamavano dei giganti e ad altre di varie estensione, sono più di sessanta. La peggiore di tutte è più fertile e ridente dei giardini del re a Siviglia: sono le terre più salutari del mondo. V’erano in esse più di cinquecentomila indiani, e oggi non si trova più creatura vivente. Li hanno fatti perire tutti, fino all’ultimo, traendoli in servitù sull’isola Spagnola perché vi prendessero il posto dei nativi, che stavan loro morendo di stenti uno a uno. Dopo tale vendemmia una nave andò attorno per tre anni a cercar gente in quei mari, perché un buon cristiano s’era mosso a pietà di quanti vi potessero ancora trovare, e voleva convertirli e guadagnarli a Cristo. Non furono rinvenuti che undici indiani: li ho visti io”.
Brano tratto da Grandangolo Storia