Martedì 12 gennaio 2016 alle ore 18,00 a Roma presso lo Studio Arte Fuori Centro, si inaugura la mostra Frammenti di materia e sostanza del colore a cura di Ida Terracciano. L’esposizione rimarrà aperta fino al 29 gennaio. L’evento è il primo appuntamento di Spazio Aperto 2016 ciclo di quattro mostre in cui l’associazione culturale Fuori Centro invita gallerie e critici a realizzare un evento che testimoni i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione. La mostra si propone di verificare l’attualità della ricerca condotta attraverso il rapporto variabile tra il mezzo espressivo e la restituzione della sostanza fisica delle cose. Gli artisti coinvolti nello spazio interagiscono e interferiscono con distinti approcci estetici caratterizzati dalla “messa in prova” del colore nella consistenza dell’immagine e delle forme applicative dei materiali di supporto nel raggiungimento della solidità dell’opera. Alla fruizione è consegnata la fase di verifica e di sperimentazione sul terreno della sensibilità personale. Antonella Besia, Daniela Conte, Myvanwy Gibson e Francesca Nacci presentano, attraverso le loro differenti personalità, un’articolata produzione in cui la totalità dell’esperienza creativa è declinata ora attraverso l’accentuazione della ricerca materica e gestuale realizzata attraverso la pittura e i differenti materiali, ora mediante ricerche spaziali e concettuali agite attraverso la contaminazione di differenti linguaggi. Come dice Ida Terraccino nel sua nota critica : “ La mostra “Frammenti di materia e sostanza del colore” nasce dall’incontro di quattro distinte personalità operanti nel sistema dell’arte e appartenenti alla stessa generazione; individualità accomunate da un differente rapporto con il colore e la sua restituzione materica dell’immagine. La mostra si presenta, quindi, come un percorso molto articolato sia nei linguaggi sia nelle concezioni orientate variamente all’interno della vasta area che va dalla dimensione concettuale e lirica a quella materico-espressionista. Alla prima area si avvicinano le sperimentazioni dell’artista australiana Mywanwy Gibson nelle quali l’installazione diviene un’occasione per verificare e riconfigurare l’intero processo di fruizione dell’opera e le ricerche rigorose animate da monocromatismi di Antonella Besia e da forme segniche ora accoglienti ora respingenti; alla seconda appartiene l’intensa espressività coniugata con l’ironia simbolica di Francesca Nacci contrapposta alla forza visionaria, materica e gestuale di Daniela Conte. La ricerca di Antonella Besia si articola attraverso diversi campi espressivi il cui filo conduttore è individuabile intorno al tema della memoria e dell’origine individuale; in quest’ambito sperimentale allargato s’inseriscono anche la fotografia e significative forme d’installazione. Seguendo i processi di narrazione condotti soprattutto attraverso l’uso della pittura, l’artista è attenta a un rigore compositivo che acquisisce anche l’esperienza polimaterica condotta attraverso la sperimentazione tra i materiali di supporto al lavoro e in particolare, attraverso un particolare utilizzo della carta. Le opere presentate in mostra, appartenenti alla serie Frammenti, sono realizzate nella forma di dialogo e di sviluppo tra la dimensione lirica dei piani e l’inscrizione in essi del segno; le due distinte dimensioni simboliche sono relazionate in grado di ospitare una comunicazione narrativa introversa e proiettata sull’implosione delle emozioni. La produzione di Daniela Conte si presenta attraverso un singolare approccio con la genesi dell’immagine individuata attraverso un atto mentale che è al tempo stesso apertura sensibile verso l’essenza delle cose. L’artista realizza un percorso di ricerca in cui le suggestioni dell’Azionismo e del Neoespressionismo mitteleuropeo si uniscono alla ricerca di una spiritualità indagata nelle sue manifestazioni fenomeniche; tali specifiche ricerche, la collocano in una posizione del tutto autonoma e personale rispetto alle suddette aree di riferimento. La luce e la materia, il segno e il gesto, lo spazio e soprattutto l’incostanza del tempo sono i parametri di valore all’interno dei quali opera Daniela Conte. Proprio in relazione alla restituzione della discontinuità temporale insita nell’opera va individuata la particolare attitudine dell’artista di ricercare le proprie immagini ora attraverso vere e proprie azioni performative al limite del controllo cosciente, ora attraverso riflessioni e lunghe pause di orientamento. “Luce increata” è un piccolo frammento in cui si addensano stesure informali di colore, segni e azioni gestuali tese a restituire una “fotofania” del divino; mentre “Martirio” ripropone attraverso la frammentazione della visione ottenuta attraverso il medium espressivo del mosaico il valore di testimonianza dell’esistenza umana. Myvanwy Gibson ha realizzato un’installazione costituita da tre pannelli in plexiglass trasparenti sospesi a mezz’aria, pannelli su cui sono realizzati degli interventi pittorici. L’opera è concepita secondo il principio d’inversione e specularità dell’immagine, mettendo in gioco così i principi della sua oggettività e la tradizionale fruizione da parte dell’osservatore. L’installazione, infatti, realizza uno sdoppiamento tra la somma degli interventi condotti sui singoli pannelli e la loro proiezione su una parete opposta alla loro collocazione. Attraverso i movimenti nello spazio, l’osservatore è obbligato a una visione del rovescio del lavoro entrandone così a far parte in maniera totale e riuscendo a godere dell’immagine solo nella sua proiezione che si caratterizza attraverso le specificità del mezzo tecnico. La proiezione è un flusso continuo che supera l’istantaneità dello scatto o la compiutezza del video restituendo costantemente in immagini il fluire della vita. Mywanwy Gibson, il cui percorso professionale si muove da anni all’interno della relazione intercorrente tra mezzo meccanico e identità creativa, compie così una riflessione sperimentale sulla dimensione dello spazio-tempo nell’immagine, dilatandone così i rigidi confini. Francesca Nacci presenta due opere appartenenti a un cospicuo ciclo di lavori in cui l’impiego degli smalti offre la possibilità di servirsi dell’intensità del colore per accentuare la caricatura dell’immagine. Entrambe le opere si sostanziano in una pittura intensa strutturata attraverso dilatazioni cromatiche e sconfinamenti di campo come animata da un’intensa energia. “L’attimo” cattura l’esatto accadere di un incidente con le inevitabili conseguenze per la protagonista; Biancaneve icona del candore e della bontà femminile, assaggia con golosità tra le sue piccole mani il frutto avvelenato senza percepire minimamente le conseguenze del suo gesto. L’istante in cui avviene l’azione si dilata agli occhi di quanti conoscono la sua storia, rendendola protagonista di un momento di piacere interrotto dall’insidia del male. La rossa mela come le labbra di Biancaneve vengono a configurarsi come simbolo del peccato, ma anche della profanazione e della violabilità. A contrasto con il carattere Neo-Pop dell’immagine si colloca “Dolente”, opera contrassegnata dalla centralità del colore e dalla sua frequenza energetica e materica. Proprio attraverso le diluizioni cromatiche che pongono l’opera in diretta relazione con la precedente, si realizzano alternanze visive tra forma e non forma in grado di allargare e far risuonare la realtà in una nuova condizione sensibile”.