Da giovedì 29 ottobre Compro Oro sarà distribuito a Torino nella sala I fratelli Marx a seguire e su richiesta, negli altri cinema italiani o festival e rassegne interessati ad ospitarlo. Nasce da un’idea di Toni Lama nasce COMPRO ORO. Vivere Jazz vivere swing, un documentario-ritratto di uno spaccato della città di Torino tra gli anni Sessanta/Settanta che mira ad esaltarne caratteristiche di città industriale, ma anche di fucina di fermenti letterari, sociali e musicali. Diretto da Marino Bronzino a quattro mani con Toni Lama, il film rappresenta una piccola parte del grande mosaico sociale e culturale di quel periodo ricostruendo, attraverso le testimonianze e i suoni di alcuni dei suoi protagonisti, il fermento musicale dell’epoca. La storia dello Swing Club inizia con Marco Barazzotto il fondatore, un sognatore, nostalgico e amante dello swing. Era un disegnatore di fumetti e aveva lo studio a un isolato di distanza da una pizzeria ristorante in via F.lli Carle 46. Tutti i musicisti che finivano di suonare nei locali si davano appuntamento li ed erano nomi come Henghel Gualdi, Farinelli, Gato Barbieri che a quei tempi abitava a Santa Rita, appena smetteva di lavorare con i fumetti, Marco scendeva e faceva le pizze per i musicisti dei dintorni. In seguito, nell’ottobre della fine degli anni Sessanta, la sede fu spostata in via Botero. I frequentatori del ristorante di via Carle insieme ai proprietari rimisero praticamente in sesto quella che di base era una cantina e si diedero da fare perché diventasse qualcosa di più. Una grande storia cresceva così in un posto piccolissimo, dotato di appena 3 locali in cui il tempo passato insieme ascoltando musica era la principale attrattiva, un luogo per appassionati in cui potevi stare stretto fino a non respirare… ma il gioco valeva la candela. Fu Nini Questa che in quegli anni, oltre a diventarne proprietaria grazie ad un baratto, ne gestì la programmazione insieme a Toni Lama inaugurando, insieme a Sergio Farinelli, Emilio Siccardi e Dick Mazzanti, pionieri del “Jazz at the Kansas City”, una nuova stagione del jazz a Torino con un calendario di sette concerti a settimana e un’attività costante, intensa e piena di novità che attirò l’attenzione di amatori e professionisti di altissimo calibro. Lo Swing Club era un luogo in cui suonare liberamente e uscire fuori dagli schemi e, in una città che viveva di un forte fermento politico e artistico, musicisti di fama internazionale, professionisti e giovani talenti torinesi si esibivano sullo stesso palco in senno ad un senso di appartenenza che solo il vero interplay riesce a stimolare. Si trattava a tutti gli effetti di un luogo consacrato all’amore per la musica ed il jazz, un luogo “ruspante” pieno di inventiva e in cui la ricerca artistica si replicava notte dopo notte in maniera spontanea. Malgrado non si potesse affermare che lo Swing Club fosse proprio “un bel posto” di certo nessuno può dubitare sul valore artistico di un luogo che a Torino aveva lo stesso sapore, un po’ sporco, ruvido e affascinante delle cave europee in voga all’epoca, quali lo Chat Qui Pèche di Parigi, il Domicile di Berlino e il Capolinea di Milano. Come ricorda Elisa Amato “Non c’era l’etichetta, non c’era forse neanche la scritta fuori Swing Club. E si respirava e tu entravi, seguivi l’aria entravi e c’era questo swing che ti invadeva. Immersi in un’atmosfera pervasiva e piena di Swing, si iniziava così a perdere di vista ciò che stava fuori…”. Lo Swing Club è stata in qualche modo una delle “case” dell’espressione artistica a Torino, in certi casi superando i limiti delle etichette e delle stratificazioni sociali: la casa in cui dare spazio alla propria folgorazione. Nel momento in cui Torino era organizzata intorno alla Fiat e le sirene della fabbrica ne scandivano i ritmi, in alcuni luoghi della città prendeva piede una ricerca artistica internazionale che proveniva in gran parte di Parigi. Una di queste “culle” era lo Swing Club, locale ubicato nelle cantine di via Botero, fondato da Marco Barazzotto e successivamente gestito da Nini Questa che curava insieme a Toni Lama la direzione artistica con una programmazione di concerti per ben sette sera a settimana oggi purtroppo il locale è sede di un negozio “Compro Oro”. La sua attività costante, intensa e piena di novità che hanno attirato l’attenzione di amatori e professionisti di altissimo calibro per oltre due decenni, vide passare nomi come Mal Waldron, Art Farmer, Lou Bennett, Dizzy Reece, “Slide” Hampton, Barry “Kid” Martin, Michel Roque, Charlie Beal, Phil Wood e la European Rhythm Machine formata da George Gruntz, Henry Texier e Daniel Humair, ma anche Kenny Clarke, Art Blakey, Gato Barbieri o Chet Baker, autentiche leggende del jazz, che frequentavano il locale reputandolo un crocevia e biglietto da visita obbligatorio. Partendo dagli anni ‘50, si narra infatti la storia dei jazzisti di colore che, lasciati gli States, si trasferirono in Europa raggiungendo Torino direttamente da Parigi, trasformando da miti musicali ad uomini in “carne ed ossa”. Un gruppo di musicisti e appassionati di jazz che hanno suonato o frequentato lo Swing club capitanati da Giorgio Bartolucci e da un giovane batterista jazz, Ruben Bellavia, unendo passato e futuro del Jazz, ci guidano all’incontro dei più variopinti personaggi (oltre una trentina gli intervistati) cercando di far vivere e respirare ancora una volta lo spirito dello Swing Club. Grazie alle preziose testimonianze di alcuni dei più rilevanti interpreti dell’epoca – tra cui Pupi Avati, Tullio De Piscopo, Enrico Rava, Dino Piana, Piero Angela e Franco Cerri – si ripercorre uno spaccato sociale ricco di aneddoti, stili e sperimentazioni, quasi un pretesto per raccontare il contesto storico, politico e sociale nella Torino industriale di quegli anni. Un confronto che non si limita alla memoria di un’epoca, ma giunge fino ai giorni nostri. La colonna sonora del film è firmata da Fabio Giachino che, cogliendone in pieno lo spirito, ha inteso porre due generazioni a confronto lavorando sui suoni all’insegna della contaminazione tra tradizione e contemporaneità, con vecchie armonie che ne sposano nuove, più ardite. L’efficacia del sincrono tra musica ed immagine è frutto di un’interpretazione originale che vede il suono passare dalle dita dei contrabbassisti, batteristi e pianisti della vecchia generazione a quelli della nuova, un continuum sonoro che non lascia spazio a troppe riflessioni e ci catapulta nell’ascolto di una musica senza tempo. Il film ha ottenuto il sostegno del Piemonte Doc Film Fund, fondo regionale per il documentario ed è stato finanziato anche attraverso una campagna di crowdfunding che ha visto, attraverso il web, mettere insieme piccoli contributi di numerosi donatori regalando loro, in cambio, copia del dvd, house concert e locandine originali: un pubblico sensibile alla narrazione di una storia che vuole rivivere e di uno spirito che non tarda a farsi sentire, ancora oggi, a suon di Swing.