Si inaugura domenica 22 marzo la mostra di Marco Gastini “ Duetti “ presso la nuovissima sede di Nicola Pedana Arte Contemporanea di Caserta. La mostra si potrà visitare fino al 10 maggio 2015. In occasione del vernissage sarà presentato il catalogo con i testi di Valeria D’Urso. È come se la pittura si vedesse, come se avesse gli occhi e le mani e si guardasse e toccasse da sola, oppure come se si percepisse senza toccarsi, e sapesse tutto di sé, in un luogo che è della pittura, in cui sta immersa”. Così scrive di se stesso il grande artista torinese Marco Gastini. Il progetto espositivo dal titolo “Duetti” coinvolge lo spettatore con un pensiero artistico incentrato su elementi archetipici del gesto, del segno e della materia, verso lo spazio sia fisico che mentale come luogo d’azione della pittura. Le opere si attirano in tensione con rimandi ed echi di colore e di materia,coinvolgendo tutti i lavori in un percorso ambientale. Accomunano tutte le opere i materiali eterogenei tradizionalmente non pittoriche con la loro fisicità espressiva rendono partecipe l’attenzione percettiva dello spettatore attraverso una forte tensione sensoriale. Ed è ancora Gastini a definire la ragione d’essere della sua ricerca artistica: “La mia pittura aspira alla trasparenza e alla sospensione, vibra e si libra all’interno, non è mai data una volta per tutte e non è mai dichiarata esplicitamente”. Come ci dice Valeria D’Urso : “Alla fine degli anni Sessanta, immerso nel fervido clima del capoluogo piemontese e attivamente coinvolto dalle istanze di rinnovamento artistico e sociale che lo animano, sviluppa un’originale ricerca sulla pittura, indagata negli elementi che ne determinano il grado espressivo essenziale: il segno, la presenza spaziale, l’azzeramento cromatico. In questo periodo si susseguono tentativi e sperimentazioni, espressione di una crescita artistica quasi frenetica. Dalle tele dipinte a spray (Paesaggio), esposte alla personale del 1968 alla Galleria Il Punto di Torino, si passa rapidamente agli smalti e ai floccaggi su plexiglas, legno o vedril (Linea d’aria), che l’anno seguente trasformano le stanze del Salone Annunciata di Milano in un ambiente fluido, dove la pittura attraversa lo spazio nel gioco di trasparenze dei supporti.
La sottile “pelle” della pittura si addensa mano a mano in macchie di colore ad alta percentuale di metallo, che rivestono vetri, neon o cassette di plexiglas, finché nel 1970 al Salone Annunciata vengono esposte per la prima volta le macchie di piombo e antimonio, concepite nel ’69: sulla parete, supporto di cui si suggerisce una potenziale infinitezza, la pittura si è concretizzata come fatto fisico (62 macchie). Questa ricerca, per quanto coeva e tangente alle esperienze radicali di arte minimale e concettuale, rimane, tuttavia, sempre incentrata sul mezzo pittorico – per necessità, come Gastini stesso dichiara, perché dipingere è per lui canale di espressione naturale – e per tale ragione l’artista viene annoverato fra i pionieri della della cosiddetta “pittura analitica” fin dai primi anni Settanta.Nascono allora lavori su parete, rigorose quadrettature e tracciati elementari in polvere di cemento, carboncino o conté (18 x 18 / 3 rossi + 1), preceduti idealmente da lastre progettuali in durcot su plexiglas (Progetto per parete); l’artista non abbandona comunque la tela, e su di essa interviene con esili segni che constatano lo spazio, lo misurano attraverso geometrie di chiara e semplice lettura (Acrilico n. 5, 10/1, AYZ). Cruciale è sempre il rapporto di ambiguità che lega il supporto e la pittura (in senso lato), come ben si evince dal gruppo dei plexiglas graffiati, dove, sul supporto invisibile, il tracciato del gesto assume visibilità, riflette la sua ombra, e la trasparenza è rivelata. Primo segnale di distacco dal minimalismo cromatico è l’utilizzo del pigmento “pearl white”, madreperla, dal 1977 applicato con l’aiuto del medium sulle tele, sulle carte o direttamente sul muro: esso rappresenta l’uscita dal “non colore”, racchiude in sé “tutti i colori”, conferisce alla superficie una vibrazione e determina uno scarto percettivo nello sguardo dell’osservatore. Il ’77 è per Gastini l’anno della prima personale alla John Weber Gallery di New York (che segue quella presso la Cirrus Gallery di Los Angeles), dove la monumentale opera New York Project / 44 Units scandisce sulla lunghezza di una parete una composizione di tele di diverse dimensioni; l’accompagna un libro, New York Project / Ten Possibilities, sulle cui pagine l’artista sviluppa l’idea nata con l’opera, disegnando dieci combinazioni fra le tele: un ricorso al libro d’artista come mezzo di riflessione e approfondimento delle ricerche. L’approdo a New York nella galleria di John Weber si inserisce in un percorso che ha condotto Gastini ad esporre presso importanti gallerie straniere negli anni Settanta: si segnalano le collaborazioni con le gallerie Argès e Baronian di Bruxelles, Annemarie Verna di Zurigo, D + C Mueller Roth di Stoccarda, Walter Storms di Monaco di Baviera. Egli prende inoltre parte a diverse collettive che ritraggono la situazione dell’arte italiana. In Italia espone le sue opere nelle principali città: ricordiamo le mostre allo Studio Grossetti di Milano, alle gallerie Primo Piano e Sperone di Roma, a Il Banco di Brescia, alla Christian Stein di Torino. Del 1976 è la prima monografia di Paolo Fossati, edita proprio da Christian Stein, cui seguirà quella del 1988 per le Edizioni Essegi di Ravenna. Ancora, nel ’76, Gastini ottiene una sala personale alla Biennale di Venezia. Filiberto Menna recensisce la personale alla Galleria E Tre di Roma (1977) e Pier Giovanni Castagnoli quella allo Studio G7 di Bologna (1979). Alla fine del decennio, come le macchie avevano lasciato presagire, la pittura è ormai sconfinata dalla superficie della tela, della carta o degli altri supporti, e ha conquistato la parete, intesa come campo illimitato della sua azione (Paesaggio II). Con 11/24, nel 1979 Gastini imprime una svolta al suo lavoro, inserendo nell’opera un tronco d’albero penetrato dalle fusioni di piombo e antimonio. L’elemento naturale, vivo e vivificante, irradia un’energia, abilmente rappresentata dalle fusioni, che si trasmette alla tela e crea così un campo di tensione; questo carattere ambientale, attivato dal materiale, ingenera un coinvolgimento emotivo, sensoriale, che si discosta dalla più piana e minimale analisi della relazione tra supporto e superficie pittorica. In L’ala della pittura la dialettica si instaura tra la pittura raggrumata “al centro”, su quella porzione di spazio che è la tela, e i segni (macchie, linee) che vanno diradandosi, galleggiando, tutto attorno: anche in questo caso si stabilisce un campo energetico e l’osservatore, catturato al suo interno, è indotto a spostare senza posa il suo sguardo tra la tela e lo spazio pittorico circostante, nel tentativo di afferrarne la dilatazione. Da questo momento, subentrano nel lessico di Gastini i materiali più disparati: la pergamena, plasticamente sospesa a generare una sottile tensione (Come di un respiro che preme nei polmoni, 1980); vetro e metalli quali ferro, rame e stagno (Sempre a…, … e tutto è sempre ora, Increspa e scivola); elementi organici come il carbone e vegetali simili a carrube che ricordano, nella sagoma, le virgole a carboncino (Dittico A,B). Vi sono poi materiali usati, consumati, come il legno delle ciarlate, le travi che sostengono i tetti delle case di montagna: indicatori di tensione, colpiscono l’artista per la loro storia, per l’essere segni modellati naturalmente dal tempo e dall’azione dell’uomo (La luce si spoglia della sua veste). Di legno sono inoltre le cassette, le traversine dei binari, oppure le tavole tridimensionalmente assemblate a comporre un paravento o, in alternativa, un retablo (Il grande libro di Colmar, trasposto anche in forma di libro d’artista, le cui pieghe delle pagine rispecchiano quelle dei giunti che tengono insieme le assi); alle volte entrano nel dipinto una mensola (Scuri cacciati), un’intera finestra (Nella finestra… l’entrare, forse), una porta. Simili pannelli mobili suggeriscono la moltiplicazione dei livelli di lettura e delle superfici della pittura, soggette a essere osservate sotto una luce sempre nuova. Nel 1989, alla Galleria Martano, con la quale Gastini collabora stabilmente, la mostra L’è tut li ant êl cel racconta le “storie” di Mombresto, luogo d’affezione dell’artista che, spinto dal legame con le sue montagne, inizia a utilizzare la pietra, in particolare le lose che costituiscono i tetti delle baite (I segni delle lose si esaltano nel vento). Spesso, nelle opere, i materiali che abbiamo enumerato si offrono tutti in una volta, pur senza togliere coesione all’insieme: ci troviamo dinnanzi a una sovrabbondanza variegata e barocca di frammenti che, con onnivora curiosità, vengono inseriti per accumulazione nel discorso pittorico, scelti non in funzione delle loro valenze simboliche, ma in virtù della suggestione che il loro vissuto è in grado di dare e, nondimeno, delle loro caratteristiche formali. La scelta dipende insomma da una sorta di affinità elettiva, emotiva, con gli oggetti, al fine di dar loro continuità nella pittura. Nonostante l’insistenza sulla concretezza dei materiali, infatti, in Gastini il lavoro artistico scaturisce dall’idea, dal progetto, spesso nato da una sensazione, un’emozione, un’esperienza della vita. Viceversa, è anche vero che dall’opera scaturisce un’emozione. Di più: la pittura è, per Gastini, l’emozione stessa, fermata in equilibrio instabile. Altro fattore importantissimo, dall’inizio degli anni Ottanta, è il reintegro del colore: l’impasto pittorico aumenta di complessità ritrovando un acceso cromatismo e, nella rinnovata matericità della “tecnica mista”, è arduo riconoscere pigmenti e leganti (Le tensioni esistono, vengono generate e si rigenerano in pittura I e II). Colore è per l’artista sinonimo di immersione, è ciò che rende possibile lo smarrimento dell’osservatore nell’ambiente, è la pittura che si apre allo spettatore, all’incontro.Per quanto concerne i titoli delle opere, dai numeri seriali e dai codici essenziali degli anni Settanta si passa a frasi talvolta lunghe ed evocative, spiegazioni di ciò che la pittura fa, coronate dai tre puntini che, col linguaggio e col pensiero, rinviano a una sospensione spaziale e connotano il tutto di lirismo. Il vocabolario adottato, se da un lato riconduce a un’idea di levità, dall’altro è molto fisico: toccare, pungere, stare addosso, e così via, sono alcune delle sensazioni suggerite. Nel corso degli anni Ottanta, la fama artistica di Gastini si consolida. Al 1982 risalgono la seconda partecipazione alla Biennale di Venezia e la monografia di Tommaso Trini. Lo stesso anno, la Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera ospita la sua prima grande retrospettiva, a cura di Helmut Friedel; seguono la personale alla Galleria Civica di Modena (1983), corredata da un catalogo con un testo critico di Flaminio Gualdoni, e al PAC di Milano (1984). In questo periodo incontriamo inoltre nella sua produzione le grandi dimensioni: nel 1987, a Castel Burio, La nave vichinga solca i filari, installazione site-specific all’aperto e in stretto dialogo con l’ambiente, veleggia come in un sogno, mentre il suo profilo richiama quello dei merli alle sue spalle; l’anno successivo, a San Gimignano, in Piazza Pecori un grande lavoro si ispira al gioco dei bambini per le strade (Il sogno respira nell’aìre). Troveremo lavori in scala monumentale anche nel decennio seguente. Di eco musicale si può parlare a pieno titolo per le stanze dell’Orangerie im Schlosspark Belvedere di Weimar, sede, nel 1998, di una bellissima retrospettiva: l’allestimento ha il carattere di una grande e complessa installazione che si snoda negli ambienti della citroniera come una partitura (tra le opere esposte, Partitura per otto tempi). Nella metafora musicale si delineano le relazioni tra elementi e materiali tanto eterogenei che conquistano ciascuno il proprio posto e raggiungono l’armonia tra salti e sincopi. Oltre alla mostra di Weimar, ricordiamo le retrospettive alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Bologna, con in catalogo uno scritto di Castagnoli e un dialogo con l’artista di Mario Bertoni (1992), alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento, a cura di Danilo Eccher, e nei Kunstverein di Francoforte e San Gallo, a cura di Peter Weiermair, Petra Kirchberg, Roland Wäspe (1993); a Siena,Scommessa è il titolo della mostra del 1997, accompagnata da installazioni perfettamente integrate nell’area urbana (Panatenaiche). Con La mano aperta della pittura, dove i ferri si attorcigliano attorno alle tele e afferrano i gessi e le pietre descrivendo ampie volute, si inaugurano il decennio successivo e la retrospettiva curata da Pier Giovanni Castagnoli e Helmut Friedel per la GAM di Torino (negli spazi della Promotrice di Belle Arti) e la Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco (2001). Nel 2005, un’altra retrospettiva è presentata al CAMeC di La Spezia e alla Kunsthalle di Göppingen da Bruno Corà e Werner Meyer. Gastini tiene inoltre con cadenza regolare mostre personali presso importanti gallerie italiane: alla Galleria dell’Oca di Roma (2005), alla Otto Gallery di Bologna (2006), alla Galleria 2000 & Novecento di Reggio Emilia (2007), alla Galleria Giorgio Persano di Torino (2008), alla Galleria dello Scudo di Verona (2008-09). Non manca nemmeno di cimentarsi nelle installazioni, come nella chiesa di San Giacomo a Treville (2005) e nel bosco di Bossolasco (2008); a Torino, per Luci d’Artista, dal 2009 un tappeto di segni blu realizzati col neon modellato si staglia contro il soffitto della Galleria Subalpina. Dal 2005, l’artista torna a ragionare soprattutto sullo spazio della singola, grande tela. Così, un cospicuo gruppo di lavori reca un fregio di classica memoria assai composito nella parte alta (fa la sua comparsa anche un materiale caldo e sensibile come la terracotta), mentre nella parte bassa si stende un leggero velo pittorico sui toni del bianco, costellato di tratti finissimi, reminescenza dei lavori degli anni Settanta (Stoicheion, Arché, e poi I tempi delle attese). Le tele, come già in passato, contrappuntano pieni e vuoti, estremamente leggero contro estremamente pesante, e sembrano, obbedendo a una forza inspiegabile, sostenersi da sé nel vuoto, sorrette da un’atmosfera che Fossati, per altre opere, definì “fantastica” e che ammanta anche l’osservatore. Fra i colori, è ormai preminente il blu, un pigmento blu oltremare distribuito con la spugna, volatile e dal timbro seducente, accostato al nero: insieme, si staccano dall’impasto di bianchi spalmato con le mani e si protendono idealmente verso gli elementi tridimensionali, pure presenti. Frequente diventa infatti l’impiego dell’alluminio, fuso in calchi, e anche dell’ardesia e del vetro, materiali che nei lavori più recenti sono conficcati di taglio nella tela, al contempo aggettanti e penetranti.
La pittura è ovunque nello spazio, ma si fissa nella percezione di un istante sul quadro, immobilizzata da lame di pietra che paiono appena scagliate; si addensa in zone di colore e ombre di materia, e la sospensione aerea di quegli attimi trattenuti è nei titoli inventati dall’artista, sino agli ultimi lavori: Nel volo… sospeso I e II (2010)”.
Biografia- Marco Gastiniè nato nel 1938 a Torino, dove vive e lavora. Dalla fine degli anni Sessanta sviluppa un’originale ricerca sulla pittura, indagata negli elementi che ne determinano il grado espressivo essenziale: il segno, la presenza spaziale, l’azzeramento cromatico. Nelle opere degli anni Ottanta compaiono il colore e un frequente impiego di materiali tradizionalmente non pittorici, taluni anche carichi di un vissuto umano, come legno, metalli, minerali, pergamena; i titoli perdono il registro minimale per diventare narrativi o evocativi. Dagli anni Novanta continua la contaminazione fra materiali eterogenei che interagiscono fra loro e con l’ambiente, talvolta in scala monumentale, per creare coinvolgenti campi di energia e irradiare una tensione nello spazio che ingeneri emozioni nello spettatore. In Italia, Gastini ha esposto le sue opere nelle principali città e in particolare ha lavorato a lungo con la Galleria Martano di Torino e con il Salone Annunciata di Milano. Ha ideato installazioni site-specific, come a Castel Burio (1987) o a Siena (1997); ha partecipato alle Biennali di Venezia del 1976 e del 1982. Fra le mostre degli ultimi anni si annoverano quelle tenute alla Galleria dello Scudo di Verona (2008-2009), alla Galleria Giorgio Persano di Torino (2007), alla Galleria dell’Oca di Roma (2005). All’estero, sin dagli anni Settanta, ha preso parte a diverse collettive sulla situazione dell’arte italiana e ha tenuto esposizioni personali in numerose gallerie: tra le altre, Annemarie Verna di Zurigo, John Weber di New York, Walter Storms di Monaco di Baviera. Musei italiani e stranieri gli hanno dedicato grandi mostre antologiche: la Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco, per prima, nel 1982, quindi la Galleria Civica di Modena (1983) e il PAC di Milano (1984); nel decennio successivo la Galleria Civica d’Arte Moderna di Bologna (1992), la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento e i Kunstverein di Francoforte e St. Gallen (1993), l’Orangerie im Schlosspark Belvedere di Weimar (1998). Più recenti sono le grandi retrospettive organizzate dalla GAM di Torino assieme alla Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco (2001) e dal CAMeC di La Spezia con la Kunsthalle di Göppingen (2005).
Nicola Pedana Arte Contemporanea
Palazzo Palladini (piano terra)
piazza Matteotti 60, Caserta
Marco Gastini in Duetti
dal 22 marzo al 10 maggio
Inaugurazione domenica 22 marzo ore 19.00
Orari: da martedì a sabato 10.00-13.00 e 16.30-20.00; venerdì 16.30-20.00
Ingresso libero
Info: +39 392 6793401
gallerianicolapedana@gmail.com
www.nicolapedana.com