Difficilmente ti capita di arrivare a teatro con anticipo e trovare il protagonista dello show, intento a scambiare due chiacchiere con il pubblico, firmare autografi ed essere immortalato in una serie indefinita di selfie (per dirla all’italiana autoscatto, moda originatasi con l’ascesa degli smartphone). Ancor più strano è sentir dichiarare dallo stesso protagonista, quello che in tanti conoscono per la popolarità in televisione e nel grande schermo, che iniziare in ritardo è un suo cruccio. Ragion per cui alle 21.05 (cinque minuti dopo l’orario fissato sul programma) decide di aprire le danze. Diverse persone vengono prese in contropiede, poiché troppo spesso si è abituati al ritardo, ma il protagonista, quello “famoso” per intenderci, è inflessibile e si inizia mentre gli ultimi sediolini vuoti vengono occupati.
Messo da parte questo inciso su una caratteristica, di cui va rimarcata la natura inusuale almeno nei nostri teatri, ci addentriamo in uno spettacolo che molti definiscono teatro canzone. Abbastanza diverso da quello che Sandro Luporini e Giorgio Gaber hanno dato vita negli anni ’80 e ’90, questo particolare modo di fare teatro entusiasma il pubblico capuano che si fa accompagnare dalle note musicali e dai testi sempre abbastanza accattivanti del compositore.
Rocco Papaleo porta in scena “Una piccola impresa meridionale” al Teatro Ricciardi di Capua. Spettacolo teatrale che ha poco a che vedere con il film diretto sempre dall’artista lucano, uscito nella sale cinematografiche nell’ottobre 2013. Se una similitudine può essere trovata tra le due opere, è ovvio che questa va identificata nel soggetto che muove entrambe: il gruppo, la band, la piccola impresa meridionale di cui Papaleo è l’incontrastato “frontman”. A dispetto del lungometraggio di cui sono protagonisti Riccardo Scamarcio, Barbora Bobulova e Sarah Felberbaum, l’esibizione dal vivo è incentrata su un gruppo di artisti provenienti dalle zone più disparate d’Italia.
Nell’intro Papaleo presenta i componenti di questa fantomatica impresa, “gli scarti di altre orchestre”. In un paesotto vicino Teramo sono nati Guerino Rondolone ed Arturo Valiante, rispettivamente nipote e zio che suonano il contrabbasso ed il pianoforte. Dalla Sicilia, esattamente da Castelvetrano (provincia di Trapani) arrivano invece i fratelli Accardo, il chitarrista Francesco ed il percussionista Jerry. Amici di avventure che accompagnano da tempo il cantante Rocco Papaleo in questo spettacolo, la cui regia è di Valter Lupo, produzione Nuovo Teatro.
In un’ora ed un quarto, il gruppo poliedrico suona una serie di canzoni che passano in rassegna il repertorio di storielle che Papaleo ha vissuto. Da L’amore che se ne va a I treni che non si possono perdere, continuando con L’orchestra del paese e arrivando al picco con Maria Teresa, canzone in cui viene chiamata sul palco una ragazza del luogo, che cede alle lusinghe dell’attore lucano e si vede protagonista di un bel siparietto. Dopo il break di qualche minuto, la band ritorna sul palco ed esegue La Foca, brano con cui Papaleo si è fatto conoscere nei cabaret meridionali, prima di arrivare al grande pubblico con le esibizioni televisive. Tutti vengono invitati ad eseguire il movimento della foca, tanto che Papaleo conclude: “Alla fine ce l’ho fatta a farvi smuovere dalle poltroncine”.