Concentrazione, visione, velocità. In poche parole, Tre Tocchi. Regola elementare della filosofia calcistica dell’indimenticata bandiera della Roma Giacomo Losi che si tramuta in metafora della vita e che spinge a non arrenderti, anche quando sai che la delusione per i fallimenti ti stia logorando l’animo. Losi, da diversi anni a questa parte, ripete il suo concetto agli attori e registi italiani che compongono la Rappresentativa Italiana Attori, nata negli anni ’70 da un’idea di Pier Paolo Pasolini e denominata successivamente ItalianAttori a partire dal 2011. Fare l’attore non è un arte per tutti (non sminuiamolo con l’etichetta di mestiere) ma anche chi ha le qualità non per forza riesce a “sfondare”. In molti casi figure sconosciute sfiorano la popolarità e rimangono bloccate in quel limbo in cui ti senti parte di un mondo favoloso ma allo stesso tempo ti consideri l’ultima ruota del carro.
Ebbene sì, il palcoscenico per nulla edificante degli attori precari esiste ed il celebre regista Marco Risi ha voluto alzare i riflettori proprio su di essi. Quelli che lasciano la propria terra natia per inseguire un sogno e che si ritrovano, venti anni dopo, con decine di comparsate in fiction di incerto valore. Quelli che sono disposti a tutto, accettando compromessi di ogni sorta. Quelli che credono ciecamente al risvolto positivo della vita dell’artista ma che col tempo iniziano a perdere le proprie certezze. Quelli che si giocano tutto in un provino, dovendo sottostare ai capricci dei registi. Quelli che sono alla ricerca della grande chance e che sono stanchi di assistere alla fama altrui, semmai condividendo perfino con l’icona del momento lo spogliatoio del campo di periferia di Roma in cui l’ItalianAttori svolge due allenamenti a settimana.
S’intreccia intorno alle storie vere di sei attori precari “Tre Tocchi”, l’ultima fatica cinematografica del Risi filius che è stata presentata in “Prima nazionale” al Duel Village di Caserta in collaborazione con l’associazione culturale Caserta Film Lab. Sul palco della struttura di Silvestro Marino, il regista Marco Risi ha raccontato aneddoti del film, in compagnia del moderatore Francesco Massarelli e di quattro attori del cast: Emiliano Ragno, Antonio Folletto, Leandro Amato e Gilles Rocca. Rivelazioni, battute, stilettate di quel personaggio dallo stile inconfondibile, qual è l’impegnato autore del Belpaese che, grazie a film mai banali come Soldati 365 all’alba, Il Muro di gomma, Fortapasc, Il Branco etc, si è tolto dal groppone la barbara etichetta di essere “solo ed unicamente” il figlio del Dino, rispolverando temi che molti avrebbero preferito relegare nel dimenticatoio.
Tre Tocchi è stata la sua grande scommessa, prodotta insieme al ventisettenne Andrea Iervolino con una cifra alquanto bassa. Con il fine di creare un film indipendente, libero, senza esser sporcato dallo stile omogeneizzato che sta appiattendo il cinema. Non è affatto una bestemmia l’affermazione di Antonio Folletto che, a riguardo, sentenzia: “Come ribadisce spesso Marco, il pubblico di questa epoca non ha ricevuto l’educazione adatta per osservare certi tipi di film”. Un’analisi costruttiva che si rilegge all’interno della pellicola, presentata in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma per la Sezione Gala. Se poi la critica abbia smontato questo film in diverse recensioni (per molti troppo maschilista), questo a Marco Risi sembra importare poco o niente. Pesano come un macigno le parole del padre Dino che nell’arco della sua vita aveva più volte espresso: “I critici vorrebbero che l’autore facesse un film nel modo in cui lo vorrebbero fare loro se solo ne fossero capaci”. L’essenza del genio.