La giuria – presieduta da Jonathan Nossiter (regista) e composta da Francesca Calvelli (montatrice), Cristiana Capotondi (attrice), Valerio Mastandrea (regista, attore e produttore) e Sydney Sibilia (regista) – ha assegnato, tra tutte le opere prime di lungometraggio, il premio TAODUE Camera d’Oro a Escobar: Paradise Lost, film di respiro internazionale del regista italiano Andrea Di Stefano.
Con il suo film d’esordio il regista romano (attore per Marco Bellocchio e Dario Argento) racconta la vera storia di Nick, un giovane surfista canadese che insegue, insieme al fratello, il progetto di vivere in Colombia su una spiaggia aprendo un’attività. Il film inizia con il luogo, la data (‘Medellin, Colombia, 18.6.1991) e Pablo Escobar che parla al telefono con la madre per tranquillizzarla sul fatto che il giorno dopo si sarebbe costituito per andare in carcere in virtù di un patto fatto con il governo. Poi il film segue la storia d’amore tra Nick (Josh Hutcherson, reduce dalla saga di Hunger Games) e Maria (Claudia Traisac). La passione si rivela ben presto pericolosa dal momento in cui Nick scopre che lo zio della ragazza è Pablo Escobar, noto trafficante di droga, interpretato magistralmente da Benicio del Toro, perfettamente a suo agio nell’indossare i panni dei protagonisti della storia sudamericana (come Che Guevara). Escobar è adorato dalla famiglia, rispettato dalla gente, un leader che nessuno osa mettere in discussione, molto attento alla sua immagine, un perfetto ‘padrino’, religioso, padre affettuoso, attaccato alla famiglia (“tutto quello che facciamo lo facciamo per la nostra famiglia”). Benicio del Toro rende il suo personaggio un gigante, rendendo gli altri personaggi subalterni, come nella realtà in cui si era o ‘protetti’ da Pablo o suoi nemici. Il rapporto tra Pablo e Nick si fa sempre più stretto, un legame pericoloso a cui il giovane, per amore di Maria e della famiglia, non riesce a sottrarsi, risucchiato da un vortice di violenza e azione, una discesa agli inferi che toglie il fiato. Il film rende bene sia l’ambiguità di Escobar: un uomo di successo, ricchissimo trafficante di cocaina, crudele e benefattore (ha donato case e ospedali), sia la ‘normalità’ del narcotraffico in Colombia, considerato quasi un’attività imprenditoriale come un’altra. Aspetti che hanno creato non pochi danni alla società colombiana.