Eroina dall’animo fragile
Le Scuderie del Quirinale, giovedì 20 marzo, hanno aperto le porte al grande pubblico per la retrospettiva dell’artista messicana Frida Kahlo, curata da Helga Prignitz – Poda, visitabile fino al 31 Agosto.
Eroina dalla vita breve, Magdalena Carmen Frida Kahlo, nacque nel 1907 a Coyoacán, Città del Messico, si sentiva “figlia della rivoluzione” per questo amava dire di essere nata nel 1910, anno di inizio della Rivoluzione Messicana. Una vita travagliata da malattie e un incidente a soli 17 anni, in cui si salva per miracolo, diventano per Frida elementi significativi per creare una leggenda su se stessa. Giovanissima, conosce il socialista muralista messicano Diego Rivera, dal quale si reca per chiedere un parere sulle sue prime esperienze pittoriche; lo sposa, nonostante l’enorme differenza d’età, passa con lui quasi tutta la sua vita tra passione e brevi distacchi, tradimenti da parte di entrambi e relazioni lesbiche di lei.
Frida usava la tela per rifugiarsi in privata solitudine, le setole dei pennelli tracciano le sue “fratture” attraverso acuti colori, nella trama pittorica c’è tutta la sua vita. L’evanescente rapporto tra eros e thanatos è continuamente evidenziato da simbolismi rielaborati per creare la sua icona, la bella di nessuno dalle sopracciglia gravi; a chi le domandava il perché di cosi tanti autoritratti, rispondeva: “trascorro molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio”.
L’arte di Frida è stata accostata a molti filoni artistici, André Breton vide in lei un’anima surrealista, ma Frida affermò: “pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”.
Oltre 40 capolavori esposti, secondo un criterio cronologico, danno la possibilità di ripercorrere la vita di una donna estrema che compose poesia agonizzante.
Tra essi ritroviamo Autoritratto con abito di velluto del 1926, il collo allungato rimanda direttamente all’estetica di Modigliani mentre, in una delle opere più affascinanti, Autoritratto con collana di spine e colibrì del 1940, la pittrice si avvalse di un’iconografia religiosa, la corona di spine, che cinge il collo creando delle ferite sanguinanti, ma lo sguardo resta impassibile e guarda avanti come chi nonostante turbamenti e sofferenze cerca di preservare la propria identità.
Opere di così grande forza diventano nel museo oggetti d’arredo, pensate alla loro reale collocazione nella Casa Azul in Messico, casa in cui ha vissuto l’artista, e pensate a quanto poco di quel fascino ci arriva.
Molto spesso ci troviamo di fronte a un puzzle creato ad hoc per visitatori considerati clienti alla ricerca dell’originale pubblicizzato, mostre di questo genere sono come gli eventi alla moda, bisogna andare per dire di esserci stati. Purtroppo il concetto di arte come bisogno e non come ricchezza ormai non è più contemplato.