Sabato 8 febbraio 2014 presso “Il Ramo d’Oro”, Via Adolfo Omodeo, 124, 80128 Napoli – tel. 081.579.25.26; e-mail: fyesbm@tin.it – è stata inaugurata la mostra, curata dal sociologo e critico d’arte Maurizio Vitiello, intitolata “Fuori dalla crisi” con opere recenti, 40×40, di Luisa Bergamini, Lucia Buono, Alfredo Celli, Giuseppe Cotroneo, Maria Pia Daidone, Mario Lanzione, Achille Quadrini, Myriam Risola, Antonio Salzano, Nino Perrone, qualificatissimi operatori e bravissime artiste provenienti dall’Emilia-Romagna, Molise, Campania, Puglia, Abruzzo, Lazio.
Catalogo al link: http://issuu.com/ilramodoro/docs/fuori_dalla_crisi
La mostra sarà visitabile tutti i giorni tranne il giovedì dalle 16 alle 20 fino al 23 febbraio 2014.
Scheda della mostra “Fuori dalla crisi” di Maurizio Vitiello
La mostra “Fuori dalla crisi”, allestita nell’accogliente “home-gallery” vomerese di Vincenzo Montella, sensibile operatore delle arti visive a Napoli, desidera rispondere all’esigenza di promuovere, efficacemente, la creatività degli artisti in rapporto alle tendenze culturali del territorio nazionale, nonché delle proiezioni concettuali parallele a considerazioni di sapore euro-mediterraneo per uscire dalla fortissima crisi, che, soprattutto, l’Italia ha dovuto sopportare. “Fuori dalla crisi” rilancia una traccia, seppur minima, di verifica dello stato dell’arte in Italia; è un incontro significativo tra artisti di diverse aree geografiche italiane. Sono presenti: Luisa Bergamini, Lucia Buono, Alfredo Celli, Giuseppe Cotroneo, Maria Pia Daidone, Mario Lanzione, Nino Perrone, Achille Quadrini, Myriam Risola, Antonio Salzano. Da specificare che Giuseppe Cotroneo, Mario Lanzione e Antonio Salzano formano, oggi, il Gruppo “Astrattismo Totale”. Questa rassegna d’arte, che vede insieme dodici indicative presenze con relative recentissime opere d’arte realizzate con diversi codici linguistici, vuole essere un segnale, quasi un concorso ideale per dimensionare un ulteriore contributo di riscontro delle condizioni dell’arte italiana. L’esposizione incapsula, senz’altro, “sensi mediterranei” di artisti di varie località italiane e con all’attivo varie personali, numerose collettive e diverse rassegne, di grande importanza, da “La Quadriennale” di Roma sino a “La Biennale” di Venezia curata da Vittorio Sgarbi. Sollecitazioni, aperture, istanze, pressioni, tensioni, lieviti, stimoli, esiti, palpiti, espansioni e risultati di ricerche vivono nelle loro opere ben legandosi all’urgenza e alla necessità di confrontarsi. Questi artisti, certamente di tono e di qualità, da molti anni sulla scena artistica nazionale, e non solo, differenti per caratteri, ma di spessore e di grande impegno, offrono un serio ventaglio di misurate declinazioni del linguaggio pittorico. Correnti direttive di molteplici modalità espressive convergono per manifestare attendibili interventi e per specificare una possibile misurata ricognizione. Questi artisti con lavori di ricerca, seriamente conosciuti e ampiamente riconosciuti, sostengono un contemporaneo visivo di temperamento euro-mediterraneo e attivano, così, oggi, una prova espositiva per alimentare, in fondo, una resistente apertura futura. Bisogna sottolineare che la creatività nel Mezzogiorno risulta sempre in crescita e i risultati delle varie indagini in campo hanno bisogno di luoghi di confronto per eventuali incontri e discussioni. La serena filosofia di quest’incontro, improntato al confronto di stili, permette al territorio partenopeo di poter recepire un momento squisitamente visivo-culturale, mentre all’orizzonte si tratteggiano ulteriori spunti per scambi aggreganti di nuovi progetti. In quest’esposizione s’incontrano vite vissute; nelle opere si riflettono attraversamenti memoriali; difatti, nelle cognizioni artistiche che si pronunciano la memoria è recepita come cortina iniziale, fondo d’avvio, mentre passaggi diaristici rafforzano e consolidano un campo di profili evocativi, aggettanti, risonanti. Alza il livello qualitativo la metabolizzazione di estremi, quelli epocali e quelli intimistici, quelli sociali e quelli domestici; ogni artista sa delimitare un proprio ambito di ricerca, finitimo agli altri; le rispondenze estetiche vibrano, squillano e si specchiano, nonché movimenti e intrecci rafforzano congetture e rilanciano rimandi. L’incontro vivifica la comunicazione, risana il sentire comune. Arrestare la memoria per assicurarla come testimonianza del vissuto e giungere e sommare anche la pronuncia diaristica permette di rivedere il passato e regolare il presente per “graffiare” il futuro; e sembrano scattare altri possibili incontri di pensieri. Questa mostra è un fecondo meeting di paralleli segni incisi e di espressioni raccolte sul “fil rouge” del ricordo, associato e spinto dalla voglia di andare oltre per poi avvicinarsi a replicare cadenze del motivo del ricordo, quasi a voler rinnovare una sorta di andirivieni tra consumati trascorsi e realizzabili futuri. Le interpretazioni di questi artisti fanno proprio le più liberali ricerche e si articolano a captare movimenti e gesti, la vita con ciò che ci circonda e con ciò che ci abbraccia.
Luisa Bergamini è un’artista fattivamente lodevole. Nel suo studio bolognese ricava forme sintetiche; elabora, taglia, sfuma le sue composizioni modulari, che consegnano una vera e profonda presa di coscienza, corroborata da ciò che sedimenta. E’ attivata, da tempo, sull’artista un’attenzione critica e i suoi lavori eleganti, misurati, puntuali abbracciano il mondo delle coordinate comunicative. L’artista riesce, con meditato impegno, a definire e a precisare virtualità modulari, a coniugare e a dimensionare tagli estremi, efficaci e a raggiungere vertigini di memorie. Le ultime produzioni dell’artista, che ha fatto parte anche del “Movimento Iperspazialista”, hanno sempre inteso sollevare emergenze sociali e curare riflessioni etiche. Il mondo interiore di Luisa Bergamini ha sempre inseguito, in parallelo, profili d’interesse pubblico. Da rimando a rimando, da sponda a sponda, da bordo a bordo, l’artista traccia sentieri e percorsi di forte lievito sociale e non manca mai di restringere attenzioni su campi più privati. La fortuna dell’occhio di Luisa Bergamini incontra silhouettes giuste, curve stimolanti e segmenti calibrati. Non c’è di meglio, in fondo, che stendere allunghi propositivi da metafore concettuali e rilanciare in serrati spaccati affondi singolari, certi e illuminanti. Il suo lavoro è sulla memoria, in questo caso storica. La mancanza di maniglie nei cassetti riportati testimonia questo disagio nell’aprire e agevolare questi percorsi a ritroso. In sostanza, i contenitori sono privi di maniglie per simboleggiare la difficoltà ad aprirli e a riproporre, quindi, il passato e le memorie a essi collegati. L’ultima produzione riporta questi cassetti capovolti o chiusi o aperti, dove ciò che appartiene al passato può fuoriuscire e precipitare o rimanere ancorato al fondo; tutto ciò esprime l’impossibilità ad attuare una liberazione dai trascorsi domestici e di vita che restano, sempre vivi e presenti nel quotidiano con tutte le insidie e con tutte le capaci speranze. Andare a ritroso bisogna farlo con maturità.
Lucia Buono è abile nel suo determinarsi. Sta procedendo a intendere nuovi orizzonti che si allontanino, ma, gradatamente, da prove e tessere d’inclinazione mediterranea. L’artista ha sempre riconosciuto nel mare e nelle sue radici fonti ideali d’ispirazione. Si è tentati d’intendere i suoi lavori come offerte di conchiglie di mare in cui si raccolgono profumi e odori, brezze e venti, sabbia e calure. Segmenti e indizi scrivono un fondo pittorico ben articolato, quasi una filosofia visiva tutta imperniata a intendere il fascino del Mediterraneo, una solarità d’impronta femminile, un abbraccio di eventi e un respiro di epoche. I lavori dell’artista pugliese si offrono per incontrare il mare, le sue onde, il suo fascino estremo e i suoi orizzonti, il senso di libertà che offre l’acqua sotto al cielo. Lucia Buono, bravissima artista pugliese, continua, con serio impegno e saggia discrezione, a lavorare nella sua terra, ma, assolutamente, non disdegna di frequentare movimenti artistici innovativi e mostre di riferimento agganciate all’avant-garde. Lucia Buono con le sue redazioni pittoriche riesce, in una cifra eletta, a sintetizzare prove alte di definizioni, quasi tattilmente tessili, che rimarcano un amore per i sentieri del particolare e per nuove soluzioni. Un “esprit” mediterraneo, insomma, scandito da una successione di istanti misurati, si coglie nelle sue composizioni, legate a orditi e trame, e tutto è rivisto nelle pieghe nobili e maestose dell’intimità e, difatti, l’artista rilancia in nuove combinazioni, sottili e insistenti, porzioni di vita, armonizzate in un desiderio di modernità franca e consapevole. L’attuale pittura di Lucia Buono ci convince ancora di più, perché si presenta ben distribuita e meglio ancorata a essere interessante e accattivante, in losanghe, in forme curvilinee e, soprattutto, slanciate; comunque, il senso di una realtà trasparente, marina, riflettente centrifugati e sminuzzati arcobaleni, governa una sequenza aperta e multipla di corpi geometrici aggettanti, che riuniti apparterrebbero a un unico corpo centrale. Cromatismi mediterranei, che segnano minimali figurazioni, quasi gore con baccelli cosmici, più che d’estrazione marina, intervallati da tagli pellicolari di luci, intendono far vibrare memorie ecologiche e l’artista, dettaglio su dettaglio e sequenza su sequenza, abilita una teoria di isole fluttuanti, fantastiche e vitalissime, quasi sotto l’impulso di un’acqua “energizzante”. Si leggono ritmi, variazioni e dinamicità, il tutto oscilla tra pittura cosmica e pittura di naturalità, mentre cromie tenui c’indicano e valorizzano eleganti leggerezze del tratto e del segno. Pulsano queste focalizzate e controllate gore, svirgolate con raziocinio, e vengono, sapientemente, trasferite, con dosaggi variegati, nel rapido e quotidiano esercizio pittorico su carta o su tela. La profonda presa di coscienza di Lucia Buono è tutta indirizzata a corroborare le sue opere di tagli e segmenti, di perlustrazioni e di rifiniture, e, proprio col “fare” e colla disamina di ciò che si sedimenta, l’artista arriva al “focus” di spunti, calibrato da fonti profonde, per accendere soluzioni aggettanti. Chiarismi mediterranei e proliferazioni liriche, che si coniugano con segni grafici strategici e con nuove soluzioni ardite, declinate quasi allo stacco da un supporto neutro, palpitano su una rete di appoggi compositivi per aprire raccordi astratti. Lucia Buono ha intenzione di sopravanzare e lasciare i respiri mediterranei e raggiungere valenze “altre”, interpretazioni sghembe, parafrasi future. Sta passando da un mediterraneo liricamente espresso a insolite soluzioni astratto-intimiste.
Alfredo Celli sta cavalcando un momento favorevole dopo le varie mostre affrontate con maestri del contemporaneo tra Abruzzo, Marche e Lazio. Nell’accogliente studio di Tortoreto Lido, in provincia di Teramo, che abbiamo avuto la possibilità di visitare insieme a Pino Cotarelli, critico teatrale, e a Nando Romeo, regista cine-tv, prosegue una stimolante ricerca sull’astratto-informale. La velocità improvvisa del gesto, i contrasti di luminosità lo portano verso una sensibilità estroflessa. I recentissimi esiti di Alfredo Celli, che ci è stato segnalato dal maestro Umberto Esposti, nipote di Lucio Fontana e bravissimo artista, si presenta nettamente accattivante, per chi come noi frequenta, e non da poco, l´ambiente artistico italiano. Le elaborazioni, di netta impronta astratto-informale, riescono a dominare la scena e a determinare uno pieno senso dell´intimo che incontra e controlla scenari, virtualmente possibili, più che ipotetici. Il suo “sentire la materia”, ormai rodato, vola ancora più in alto e, senza urti, plasma nuovi confini con aggettanti e singolari estroflessioni. L’artista dirama rigature di quinte che premono e/o fuoriescono dallo spazio di supporti lignei. Il tutto si svela in inquadrate percezioni reali. Intendimenti pulsano nelle vene e nella testa di Celli; scattano, quindi, termini cromatici e tentativi di comparare quadri da cui scaturiscono riscontri straordinari, e, soprattutto, rilanci impensati. L’artista adegua concatenazioni di pulsanti dinamiche che s’aprono su altre dimensioni, sotto l´impulso di un fronte, febbricitante e magico, d’invenzioni. In fondo, produce interpretazioni informali dello spazio, ma anche risolutive e scattanti combinazioni. La sua forte inventiva declina accordi per consegnare speciali e repentini risultati. Le sue opere, in tecnica mista, comprendono intensità di riferimenti seriali e, così, emerge la sua voglia di tonificare controcampi. Alfredo Celli tende a tonificare e a corroborare visuali e misure, nonché tracce che possano manifestare specularità ripetute, nonché inseguite con determinazione. Nei lavori si presentano scansioni, ritmi, cadenze, accenti, variazioni. Le redazioni di Celli oscillano tra pittura totalizzante e plastica di sostanza. Tracciati e margini vengono dall´artista siglati per comprendere la “coscienza del mondo”. Insomma, attimi e tagli sono segmenti di proiezioni sorprendenti per interpretare e intendere esplorazioni spaziali in termini astratti. La necessità dei suoi interventi è nell’astrazione.
Maria Pia Daidone in una lontana intervista precisava: “Ho privilegiato, ultimamente, il rame, il cartone, il plexiglas. Il primo perché è duttile nella lavorazione, ricorda la sacralità, dà energia e ha la luminosità accesa dell’oro; il secondo con un’adeguata lavorazione perde totalmente la propria identità e diventa altro; il plexiglas usato come rivestimento esalta i materiali e li cristallizza in un’atmosfera senza tempo.” L’artista napoletana crea maglie di ritagliate e brevi tessere di fogli di rame; usa anche fogli di cartone, pressati, ricoperti di cromatismi dorati e ramati, in parte aggettanti e in parte ricoperti da trasparenze, che predispongono e programmano morbide, intriganti, piacevoli seduzioni di senso. Il rame con la sua calda venatura riesce a stendere temprate superfici. Le ultime redazioni pittoriche e plastiche dell’artista accolgono accostamenti di sacro e profano, comprendono gli stordimenti e le vertigini del nostro tempo e ci rimandano alle dimensioni mitiche di tempi antichi. Le metabolizzate, significative, leggere tessere di rame s’interpolano come elementi preziosi, perché, segnico-simbolici di interpretazione e di comunicazione sociale. La “texture” di ogni riquadro ramato è un sottile ricalco arricciato, increspato, mosso, sbalzato, ondulato su cui scivolano motivi ritmati e strette pressioni, mentre i bordi si solleticano e si sfiorano, limitati e ristretti, in una raffinata disposizione, che assicura una maglia, abbigliata lusinga, o un accurato mantello, appropriato richiamo per un fantasmatico corpo. Un mantello di tessere di rame, ad esempio, in scena, sembrerebbe tendere verso la pronuncia di un’overdose estetica, ma, a ben guardare, risulta, poi, essere cortina di un’essenza calamitante, dall’indubbio influsso e fascino pervasivo, che prende l’animo e la mente in modo completo. Non mancano di stupire i quadrati di cartone pressato punteggiati di inserti dorati, nonché ramati, e di finezze disegnative e di minuzie ben calcolate e di sottigliezze ponderate.
Gruppo “Astrattismo Totale”: Giuseppe Cotroneo, Mario Lanzione, Antonio Salzano.
Mario Lanzione è il leader del Gruppo “Astrattismo Totale” che lo vede insieme a Giuseppe Cotroneo e ad Antonio Salzano. Mario Lanzione è un salernitano che ha abbracciato il Beneventano. E’ Vice-Preside del Liceo Artistico Statale di Benevento e cura, con altri amici un accogliente e accorsato spazio aperto alle arti visive contemporanee, l’ ”Arte Studio-Gallery”, veramente a due passi dal grandioso “Arco di Trionfo”, imponente, maestosa, magica struttura romana, che sfida i secoli grazie ai restauri. Mario Lanzione, nasce a Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno). Studia al Liceo Artistico di Salerno e all’Accademia di Belle Arti di Napoli. E’ impegnato nel settore della pittura astratta; dal 1975 espone in personali e collettive. Con la personale del 1976, alla Galleria d’Arte Contemporanea “La Roggia” di Pordenone, dimostra la sua passione per la pittura informale e geometrica. Espone in Turchia, in molte città italiane e all’Expo Arte di Bari; prosegue con mostre a Miami, al Museo di Arte Moderna di Tokyo, a quello di Mendoza, di San Juan e di Buenos Aires, a Instabul, in alcune città della Slovenia, Salisburgo e Innsbruck, Zurigo e Berlino … Mario Lanzione con “Astrattismo Totale” in compagnia di Giuseppe Cotroneo e Antonio Salzano è all’Expo Arte di Bari 2013, alla trentesima edizione. Ha esposto anche alla galleria RECO’ di Città di Castello, dove è stato presentato un catalogo con un suo testo esplicativo sul gruppo, che è riuscito a formare e che opera sulla base logistica dell’ “Arte Studio-Gallery” di Benevento, dove sono transitate opere di Renato Barisani, Bruno Donzelli, Fabio Mariacci, Domenico Spinosa …
L’ ”Astrattismo Totale” nasce con il periodo delle “Carte Veline”, prodotto da Mario Lanzione.
E’ tra i primi artisti a sperimentare l’idea di mettere insieme i due opposti concetti razionali e irrazionali dell’Astrattismo, proseguendo un’indagine che assimila, metabolizza e annette la pittura informale a quella nettamente geometrica. Quest’idea la condivide in pieno con i bravissimi artisti Giuseppe Cotroneo e Antonio Salzano. I tre artisti, tutti campani, sono convinti dell’esistenza di un punto d’attrazione e di fusione, quindi, d’incontro, dialetticamente valido, degli elementi linguistico-stilistici, che hanno consentito l’evoluzione dell’Astrattismo.
Geometria e materia, istinto e ragione, segno e riverbero, luce e spazio, sono i contenuti sviluppati da Giuseppe Cotroneo, Mario Lanzione e Antonio Salzano nell’ambito dell’ “Astrattismo Totale”, quanto gli impulsi emotivo-psicologici, la sintesi tra sofferenza e gioia di vivere, il connubio tra materia e spirito, l’àlchimia dei ricordi e degli umori tra la memoria del passato e l’affermazione del presente e l’assunzione di un’astrazione poetico-lirica. Questa volontà di sintesi si rivela in Mario Lanzione, attraverso il pensiero cosmico delle origini della vita e del suo procedere; in Antonio Salzano è dettato dalla stessa energia, che diventa certezza nel divenire degli eventi e nella speranza di una vita esemplare; in Giuseppe Cotroneo, invece, s’identifica con la spontanea assimilazione di una realtà da accettare così com’è, nel bene e nel male, restando nella propria dimensione di uomo che trova nell’arte, fortunatamente, il rifugio intimo delle proprie fiduciose fantasie e, parallelamente, la sicurezza dell’avvento del proprio “esprit”. Questi artisti sono “cercatori d’anima” e riescono a rendere il disegno proprio tempo e/o ad anticipare quello futuro. La piega epocale che vivono la sostanziano di umori rilevabili e tracce correnti, sino a rendere le loro opere interpretazioni di intervalli esistenziali. Ben consapevoli trattengono il senso del divenire riuscendo a cogliere prossime dimensioni e a far transitare utopie, se non visioni. Il Gruppo “Astrattismo Totale” è un doveroso, avveduto e giusto approfondimento su un’interessante novità del territorio salernitano-sannita-beneventano. In conclusione, questi tre artisti riescono a bilanciare spirito e dinamica, calcoli concreti e tensioni emotive, pensiero e azione in dipinti di rara intensità, in cui si bilanciano direttrici su orizzonti, tagli su prospettive, colorazioni terse su cromatismi intensi; insomma, riescono ad essere liberi nell’interpretazione equilibrata delle vene dell’Astrattismo Totale. L’Astrattismo Totale nasce con il lontano periodo delle “Carte Veline”, prodotto da Mario Lanzione, che è tra i primi artisti a sperimentare l’idea di mettere insieme i due opposti concetti razionali e irrazionali dell’Astrattismo, portando avanti una ricerca, che coniuga la pittura informale con quella nettamente geometrica. I tre artisti campani, hanno raggiunto la convinzione che esiste un punto d’incontro dialetticamente valido nella fusione degli elementi linguistici e stilistici, che hanno consentito l’evoluzione dell’Astrattismo.
Nino Perrone privilegia un periodo informale, delicato e sensibile. Prima, ha portato avanti per molti anni, con ampia soddisfazione di mercato e di critica, un deciso figurativo, avvertito con tutte le ansie del contemporaneo. Dalle estrinsecazioni paesaggistiche alle situazioni fabulistiche, era arrivato a discutere di nuove istanze sino a raggiungere un proficuo piano di analisi, dedito all’osservazione dei costumi della nostra società, con accenni, in filigrana, a Otto Dix, George Grosz e a Franz Borghese. La qualità dell’ironia c’era tutta e onorava una figurazione accorta e apprezzabile; a tratti, di particolare intensità e di radicata ragione su tematiche sociali. Figure e personaggi sulla tela esplicitavano opportuni suggerimenti per un più deciso controllo dei dispositivi sociali e davano prova con esiti calzanti, adeguati e efficaci di una capace e ampia base di discussione. Dalle elaborazioni figurative al passo dell’informale il percorso è stato vagliato e affrontato con oculata logica operativa. Il suo pennello ha voglia di conquistare lo spazio; comunque, tenta di sedurlo per invaderlo esaurientemente. L’essenza delle intenzioni è una costante che si trova nella dinamica, convinta e dichiarata, di pregevoli incursioni, che redigono opere con un impasto cromatico vigoroso e profondamente tattile. Nella discrezionalità di un impianto, strutturato e sistemato, si legge, grazie al concreto ricalco segnico-cromatico, la tendenziale idea di interpretare lo spazio con pregnanti pluridimensioni di accenti iperbolici, su cui viaggiano succhi vitali e frenetici. L’artista con tratti volitivi, sinceri e concludenti, agganciati a vettori cromatici, determinati da gesti precisi, sostanzia un calamitato elenco di motivi e un calibrato ventaglio di strutture visive, che consegnano utile brio e disinvolta luce a reticoli di segmenti, nutriti da flesse dinamicità e da equilibri di umori e di sfere di sentimenti. In conclusione, Nino Perrone continua a stendere interessanti prove informali e ha sempre più voglia di formare gruppo. I sunti informali di questo periodo informano e istruiscono un percorso di analisi sull’esistente crisi, da cui si sta uscendo.
Achille Quadrini, che èdiFrosinone, terra dei futuristi Bragaglia, redige splendide e convinte opere ludiche. Certamente il migliore in campo nell’ironia delle scelte. Nelle dinamiche di pensieri riflessi propone orientamenti e fa di tutto perché ci sia un varco; insomma, un’apertura per viaggiare nell’oltre. Le sue attuali elaborazioni si presentano ancor più interessanti per quei sensi ludici che dominano gli scenari. La mano di Quadrini conquista tessiture e orditi di intese di gioco, ma anche immaginate visioni. Grazie a queste impronte ludiche particolari il suo mondo accuratamente sognato è vincente. L’operato dell’artista analizza l’ecosistema, riappropriandosi di valori essenziali come il senso della terra, della natura, dell’energia pura, della storia dell’uomo, rivisitati in chiave ludica proprio in virtù dell’oggetto scelto, che dal riciclo trae la propria dimensione energetica: tappi, sfere, triangoli, quadrati come sunti di vita in pannelli geometrici. Comunque, molte delle sue opere sono in formato 100×100, altre 80×80, altre ancora 40×40; l’artista le ha realizzate, soprattutto, con tappi, a vite e a corona, in metallo di varie marche di bevande. L’artista cerca di confermare nelle dinamiche di pensieri riflessi consapevolezze e fa di tutto per agganciare un sentimento di riappropriazione. E’ spinto a riempire e a colmare la tela bianca ed, allora, “legge” i moti e i movimenti della società all’angolo della strada, anche quella innocente dei ragazzi impegnati a giocarsi la partita con i tappi. Le aritmie degli eventi mondiali lui li avverte e sigla acconce determinazioni. Il nostro quotidiano, che precisa il nostro vivere, lui lo condensa in una battuta di tappi che regge il senso della realtà coi suoi scenari, a volte inverosimili. Non dimentica, però, utilizzando sempre tappi, paesaggi di forte sapore mediterraneo, sagaci e spericolate visioni d’insieme, scenografie di assillate metropoli, macchie di scenari verdi e di netti azzurri. La mano di Quadrini conquista tessiture e orditi di panorami reali e di visioni sospese, tra sogno ed emozione, e s’elevano cromatismi mediterranei segnati e contrappuntati da minime figurazioni, intervallati da intersecanti elaborazioni con tappi e annessi vari. Il pensiero pittorico di Achille Quadrini, oscillante tra pittura-pittura e cadenze ludiche sostanzia atmosfere reali e altre volte immaginifiche. In conclusione, a Quadrini interessa la materia ludica, il motto di marca, ma anche lo svincolamento consumistico spinto da una sentita e fresca creatività.
Myriam Risola si esalta nelle raffinate precisazioni linguistiche e riesce a far respirare nelle sue opere fantasia e libertà; il che non è poco. Colori, segni, libertà esecutive in una teoria di codici del novecento sfiorano isole di sogni, piattaforme di dissonanze, liturgie cristiane, geometrismi di radice araba, silenzi mussulmani e inni alla vita. Tutto è centrifugato e in settori o in pieghe di ventagli s’insinua il “jolly” e orizzonti di topografie fantasmatiche si stagliano e accettano soluzioni su soluzioni, quasi a voler generare un nuovo linguaggio, che possa abbracciare una pluralità di versioni. Myriam Risola, firma riconosciuta e stimatissima, con i suoi ultimissimi acrilici determina dettati ludico-informali. In attagliate opere, a doppia sezione, ad esempio, corrono fratte temperature cromatiche, mentre frazionati segnacoli muovono scritture fabulistiche. Composito è l’impasto, ma non c’è peccato di distribuzione, tutto è dato e tutto è reso per invadere con un’intelligente malta espressiva una filigrana di sentimenti. Agglutinando semi e segni, caratterizzazioni grafiche e vibrazioni vettoriali, linee spezzate e raffiche elettriche, che striano avveduti passaggi cromatici, vien fuori un insieme di contemporaneità; si avverte, quasi, la voglia dell’artista di respirare profondamente e di rimettere e di rimescolare addendi esistenziali e atmosfere epocali. Nelle consegne dei lavori di Myriam Risola solca la vita. Panoramiche frontiere, perspicaci visioni d’insieme, scene gravide di sforzi umani guadagnano spazio e tenuta scenica. La mano di Myriam Risola conquista tessiture di panorami reali, ma anche immaginati, conditi da sogni ed emozioni. Cromatismi mediterranei e salti e scatti di plastica riescono a intervallare luci e ombre e fanno vibrare lungamente memorie, surrealtà ecologiche, immagini insolite. L’immaginazione creativa, combinata da fertilissime idee, riesce a serrare ambientazioni di particolare taglio, non prive di impressioni e suggestioni, di incanti e malie, che vibrano per calibrata sottigliezza di dettato. Le tecniche miste risucchiano prestigiose cadenze visive di un “iter” guidato da una mentalità solida, eppure aperta, di spessore, che non ripercorre mai note passate, ma utili riferimenti che possono agganciarsi sempre a dati attuali da affrontare. Emerge la voglia dell’artista di corroborare campiture con segni veloci e forti, con fabulistiche manovre e con elaborate misure e impronte. Nelle opere di Myriam Risola si leggono ritmi giusti, variazioni delicate e dinamicità capillari di una voglia d’astrattismo, mentre in altre, palesemente, si dichiara il richiamo riverente alla natura. Il nostro vivere pulsa nelle composizioni di Myriam Risola, il “sacro” ed il “profano” s’incontrano per non unirsi, ma per specchiarsi pacifici. Tutto può essere controllato ed esaminato, basta una profonda presa di coscienza e voglia di esaminare, ma tutto ritorna divinamente in bilico, sempre; il giorno si fa storia e la storia si fa attualità e Myriam Risola intende cogliere quest’aspetto, quest’alternarsi della vita, questa sospensione, questo “fil rouge” circolare sospeso, che nessuno riesce a tagliare, né a staccare. Il “focus” delle redazioni pittoriche di Myriam Risola riprende rimbalzi di specularità, più che primi piani. L’impero sensibile delle sue elaborazioni svetta per equilibrata condizione e si fa magistero.