di Thomas Scalera
Video e Recensione al seguito
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Con il lungimirante scopo di mettere fine al regime tirannico del re Anfitrione, la regina Alcmena dà alla luce Hercules, il cui vero padre è Zeus in persona. Cresciuto ignaro dei suoi natali semi-divini, il principe vive un’intensa storia d’amore con Ebe, principessa di Creta, che sarà presto promessa in sposa al fratellastro Ificle, apparentemente, per appianare divergenze politiche tra i due regni. Di conseguenza, l’eroe conoscerà la dannazione dell’esilio. Dopo essersi distinto nell’arte gladiatoria, Hercules farà ritorno a casa, ormai conscio della propria origine, per avere la vendetta che gli spetta.
Che sia per anglofilia o per distinguersi da quel cinema peplum che, dalla fine degli anni Cinquanta alla metà dei Sessanta, conquistò le nostre platee, il nome dell’eroe delle sette fatiche non è stato tradotto in italiano, come fu al tempo dell’omonimo cartone della Disney. Ma qui il tono non è felicemente bambinesco, né giocoso come allora, piuttosto piatto, monocorde, senza vibrazioni e scosse, anche quando entrano in scena i due antagonisti oppure si mostrano gli intrighi di palazzo. Patinato, tracimante di sequenze ad effetto, fasullo in molti momenti, Hercules: La leggenda ha inizio guarda direttamente a Il gladiatore, a partire dal meccanismo “esilio/riscatto nell’arena/vendetta” vissuto dal protagonista per finire, addirittura, con alcuni chiari elementi visivi (si pensi solo ai pulviscoli nell’aria, tipici di Ridley Scott). Al netto dei pochi riferimenti alla sua natura per metà divina, c’è soltanto qualche sequenza d’obbligo per ricordarci qual è l’eroe che abbiamo davanti, il personaggio di Hercules passa per una versione estremamente semplificata del Massimo Decimo Meridio di Russell Crowe: anche lui subisce le angherie di un principe tanto malvagio quanto vigliacco, così come conquista una nuova consapevolezza soltanto dopo essersi misurato con gli scontri nelle arene.
Regista di action, con qualche merito nella sua discontinua filmografia, Renny Harlin non dimentica inoltre il modello di 300, di Centurion e di altri neo-peplum successivi, sebbene finisca con il restituirne una versione sempre semplificata, zuccherosa nonostante la violenza, edulcorata. Non soltanto per la scelta, certamente infelice, di Kellan Lutz nel ruolo principale, ma soprattutto per un’inattendibilità palpabile che attraversa tutto questo lavoro diviso tra (fasulla) estetica della potenza e compromessi con l’orizzonte del teen movie, voglia di respiro epico e impossibilità di ricrearlo. Anche a livello esclusivamente tecnico non ci sono particolari note di merito.